In uno dei luoghi oggi più ignoti della Roma cristiana ho assistito alle scene più belle e più dinamicamente riassuntive della memorabile giornata dei funerali di Francesco, “il papa dei poveri” (“La misericordia non è un sentimento passeggero, ma è la sintesi della Buona Notizia, è la scelta di chi vuole avere i sentimenti del Cuore di Gesù”).
Proprio mentre nella basilica di Santa Maria Maggiore si provvedeva alla tumulazione del defunto Pontefice, all’Oratorio di Santa Barbara al Celio si inaugurava la mostra giubilare su Madre Teresa di Calcutta, la santa dei poveri (“AmaLo, quando con umiltà si nasconde sotto la forma dell’Eucarestia, o nel volto sfigurato dei più poveri tra i poveri. Che non separiate mai Gesù nell’Eucarestia da Gesù nei poveri”).
E quel ristretto spazio era inondato di coloratissimi ragazzi e ragazze giunti a Roma per il Giubileo degli adolescenti, con sister e novizie delle Missionarie della carità indaffarate a spiegare lungo i pannelli agli attentissimi giovani suddivisi in gruppetti la vita e la spiritualità della Fondatrice.
Ma il legame con l’evento del giorno non è né puramente cronologico né solo tematico: l’Oratorio, in genere chiuso, è dal 1828 per volontà di papa Leone XII proprietà del capitolo di Santa Maria Maggiore! E fu la centrale operativa di uno dei massimi rappresentanti della carità cristiana romana e pontificia di sempre, papa Gregorio Magno (“Poiché la carità si eleva a meravigliosa altezza quando si trascina con misericordia fino alle bassezze del prossimo; e con quanta maggior benevolenza si piega verso le infermità tanto più potentemente risale verso l’alto”).
Il posto parla da sé, i pannelli illustrativi della mostra sulla vita e le opere della Santa macedone che adottò (e fu adottata da) l’India attorniano infatti una pesante e lunga tavola di marmo su cui è incisa questa scritta: “Bis senos hic Gregorius pascebat egentes / angelus et decimus tertius accubuit” (Qui Gregorio sfamava dodici indigenti e tredicesimo un angelo si aggiunse a tavola).
Su una delle pareti di questo luogo, detto anche “triclinium pauperum”, un affresco di Antonio Viviani, discepolo di Federico Barocci, ritrae il prodigioso fatto accaduto durante uno dei consueti pasti che – secondo tradizione – Gregorio e sua madre Silvia approntavano ogni giorno per una dozzina di poveri: il sopraggiungere di un angelo cui pure fu servito il desinare. Pia leggenda o meno, resta documentato che Gregorio, sia come monaco che come Pontefice, fu un gigantesco campione di carità, promotore prima coi suoi beni familiari e poi col patrimonio della Chiesa d’una ingente, capillare ed efficiente opera d’assistenza ai poveri, con tanto di registri e nominativi.
E poiché l’inabissamento della memoria non è prerogativa esclusiva del nostro tempo, nel Seicento il cardinal Cesare Baronio, uno dei discepoli di san Filippo Neri, promosse il restauro e la decorazione pittorica di questo luogo della cristianità tardoantica che oggi è, per una insondabile filologia spirituale, il quartier generale della Congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta.
Il gomitolo caritativo che quest’oggi annoda insieme Gregorio, Teresa e Francesco si srotola per qualche settimana (fino all’11 maggio) in questo periodo di grazia e di attesa orante per la Chiesa.
Queste antiche e semidimenticate vestigia della storia cristiana dell’Urbe, rivitalizzate dal vivo vociare dei ragazzi, producono un balsamico effetto rincuorante su chi osserva stupito: allora non tutto è evaporato, la catena di incontri e di memoria che da duemila anni percorre, connota e sorregge le vicende del mondo, e in particolare quelle del nostro Paese e della Città eterna, non è spezzata come talora da molti segni si è indotti a credere! C’è ancora del fuoco ardente sotto la cenere nichilista!
Arte, storia e fede, secoli lontani, decenni vicini e l’oggi si ricongiungono in modo eloquente e pregnante per i depositari del futuro. Il messaggio di speranza del Giubileo acquista così fiato, suoni e colori, e anche le vecchie pietre sembrano parlare con voce più squillante.
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