Recentemente è uscito un film che immaginava un mondo dove i Beatles non erano mai esistiti. Un ragazzo, catapultato tra spazio-tempo dal mondo reale approfittava di questo per far sue le canzoni composte da Lennon e McCartney ottenendo un successo universale. E la vita di tutti, grazie a queste canzoni, era più bella. Perché sì, è questo che hanno fatto i Beatles: hanno reso le nostre vite più belle. E il film vuole anche dire che non importa chi le canti, quelle canzoni restano bellissime, potenti, sovvertitrici, rivoluzionarie. Per fortuna i Beatles sono esistiti veramente e da questo parte Mauro Ronconi (giornalista, scrittore, dj, autore di spettacoli multimediali, autore di molti libri, tra cui una straordinaria enciclopedia dedicata al cosiddetto soft rock di matrice californiana, più di 300 album fondamentali). Ronconi in questo suo nuovo libro (Canzoni per un mondo senza Beatles, Arcana, 309 pagine, 19,50 euro) ci dice come dal1960 al 1970, quei dieci anni in cui i Beatles sono esistiti come gruppo, tutta la musica è passata attraverso le loro geniali intuizioni; hanno cambiato il modo di scriverle e inciderle. Insomma hanno fatto piazza pulita intorno a loro: il mondo della musica erano i Fab4. Ma dopo il loro scioglimento? La lezione impartita da McCartney e soci è diventata il punto di riferimento se non per tutti, quasi. Impossibile prescindere da loro.
Ronconi allora parte dalla data di scioglimento, il 10 aprile 1970, e comincia a esaminare dozzine di canzoni (97 in tutto) che “hanno ridisegnato la storia dal punto in cui i Fab Four l’hanno lasciata”. Come dicevamo, una idea brillante, inedita. Il libro è anche una seria e attenta analisi di come la musica con il passare dei decenni abbia perso la genialità che i Beatles ci avevano lasciato come una fiaccola da portare avanti: “Poi sono arrivati gli anni 80 e 90, decenni in cui si è cercato di rinnovare il linguaggio pop ma ci si è accorti che era stato realizzato molto più di quanto previsto. La mancanza di rigenerazione ha fatto adagiare la musica su formule emotivamente languide e atmosfere troppo elettroniche”. Fino alla “standardizzazione degli anni Duemila dovuta a spartiti troppo allineati con lo strumento elettronico e i software ad esso applicati”. Insomma, la musica ha cominciato a morire. Oggi sono più importanti i cantanti che le canzoni, con il loro mondo fatto di gossip, baggianate, look e capelli patinati. Ronconi cita un grande compositore americano, Johnny Mandel, che ha colto la situazione: “La musica dei primi anni 80 era molto più interessante perché la musica stessa era molto più importante”. Oggi la musica è liquida, si scarica come fossero caramelle, si ingoia e si elimina immediatamente, è un super mercato dove c’è tutto, ma in realtà c’è il niente.
Partendo con Samba pa ti di Santana, pubblicata nel 1970, inizia allora la rassegna di canzoni esaminate a fondo da Ronconi, approfondite indagini che riportano dichiarazioni degli artisti stessi, le vicende che hanno portato alla nascita di quella particolare canzone, le trovate di studio che ne hanno permesso la creazione. Non si tratta insomma di un Bignami come tanti libri analoghi che si trovano in libreria, ma uno studio approfondito che svela tante cose sconosciute a noi lettori italiani. Il libro si può leggere in modo cronologico, ma è bello anche saltare qua e là e trovare brani come Killing me softly with his song di Roberta Flack, Vincent di Don McLean, I am the blues di Laura Nyro, Dreams dei Fleetwood Mac, Year of the cat di Al Stewart, The logical song dei Supertramp, Human nature di Michael Jackson, A prisoner of the past dei Prefab Sprout e… l’ultima canzone che chiude il libro non ve la diciamo. Diciamo solo che risale a più di dieci anni fa e forse Ronconi con questa scelta ci ha voluto dire come forse sia stata l’ultima grande canzone. Dopo di che, il diluvio.