Attualmente il tema dei temi, l’argomento per antonomasia è l’intelligenza artificiale. Invadente e totalizzante, il suo intervento è ormai onnipresente, onnisciente, onniprepotente. Essa è “tutto in tutto”, come dicevamo di Dio quando ancora non l’avevamo cancellato.
Non è ormai solo questione di elettrodomestici, o automobili o qualunque campo in cui la tecnologia ficchi il naso, cioè dappertutto: oggi è sufficiente comprare un nuovo cellulare, operare le istallazioni e gli aggiornamenti di rito e per ogni programma, ogni applicazione, ogni icona anche insignificante spunta fuori l’intelligenza artificiale a chiederci se vogliamo il suo aiuto. E noi rispondiamo sì. Pare che anche ai cantanti di Sanremo sia stata applicata l’IA per correggere le stonature.
Se le cose stanno davvero così, abbiamo già superato il confine, e il controllo è ormai passato alle macchine. Occhio allora, se si scorge in giro Schwarzenegger in veste di cyborg assassino, avvisare Sarah Connor: potrebbe passare brutti momenti.
Chi si sta accorgendo della tragedia incombente sono gli insegnanti. Migliaia ormai sono i casi in cui gli studenti, più scafati dei loro docenti con la tecnologia, ricorrono all’IA per non fare i compiti. È recente la notizia dell’annullamento di un esame di psicologia all’Università di Ferrara perché diversi esaminandi hanno utilizzato l’IA, avendo a disposizione portatili, tablet e moduli informatici per svolgere la prova.
L’esame è stato annullato poiché “a seguito di verifiche interne, è emerso che numerosi partecipanti hanno fatto uso di strumenti esterni”, cioè ChatGPT o qualche sua sorella (è evidente che l’intelligenza artificiale sia femmina) e, come hanno aggiunto i docenti, “abbiamo indicazioni sull’uso di strumenti esterni come ChatGPT, ma non possiamo risalire ai responsabili”. Il tutto con scorno dei ragazzi che avevano studiato e svolto onestamente la prova.
La vasta tragicommedia del rapporto scuola-IA si va rapidamente riempiendo di una spassosa aneddotica. Geniale quel ragazzino romagnolo di scuola media che ha chiesto alla signora ChatGPT di scrivergli un tema affibbiatogli per compito, mettendoci però anche “gli errori tipici che fa uno scolaro di scuola media”. Molto meglio di Arsenio Lupin.
Anche in campo culturale e artistico arrivano notizie che non testimoniano altro di una vasta mistificazione in atto. Senza ricorrere alla notizia un po’ modaiola e ridicola della recente pubblicazione di libri di poesia scritti con l’IA (presentati ipocritamente come esperimenti o sfide di conoscenza, ma in realtà prodotti commerciali) è ormai evidente che in questi campi l’utilizzo è massiccio.
Le recensioni di cinema, musica, libri che circolano sulla rete sono palesemente in maggioranza non umane; articoli di giornale di routine, magari assestati in fondo dalla mano del redattore, sono certamente prodotti così (non questo); le quarte di copertina dei romanzi e anche delle raccolte di poesia dei grandi editori puzzano di IA, dato che hanno sempre le solite quattro considerazioni rimescolate. E un amico regista mi avverte che anche i servizi del telegiornale con immagini, ad esempio, dalle zone di guerra, sono sempre più taroccate, tanto che c’è ben poco da fidarsi.
Basta d’altronde eseguire facili esperimenti: si ricerchi, a mo’ di esempio, delle immagini su qualsiasi motore di ricerca, che so, le foto di un faro, e sarà immediato distinguere quelle generate artificialmente, molto più belle, da quelle realmente scattate da un fotografo che ha la sfortuna di possedere carne, ossa e occhi umani. Provare per credere.
Ecco, a proposito di sfiducia, questo è un primo macroscopico effetto portato dall’IA. Che cosa è vero, reale? Quale fotografia, quale testo, quale prova d’esame, quale tema scolastico, quale servizio giornalistico non mi sta imbrogliando? Ma ancora più grave è l’annullamento del “processo” umano, del percorso di apprendimento personale. È qui in gioco l’idea stessa di scuola, ad esempio, se non di tutto il processo di conoscenza umana, che da tempi antecedenti l’IA. stava già degenerando a idea di risultato e di performance.
Fare scuola è accompagnare un ragazzo su una strada di ricerca, di interrogazione, di costruzione di ipotesi, di testi, di domande e risposte in cui lui sia protagonista, non destinatario di post-it di vaghe e mescolate conoscenze disciplinari appiccicate al cervello il tempo sufficiente per svolgere la verifica. Che senso ha far fare una ricerca, ad esempio, “avendo come tutor chatGPT”? Che apprendimento ci sarà mai in un testo scritto dall’IA artificiale e poi rielaborato dall’alunno? La scuola è percorso, è processo, è competenza operativa basata sulle conoscenze essenziali per compiere quel faticoso e fascinoso cammino. Tutto il resto è buffonata o, peggio, schiavitù del potere.
Dovremmo chiederci cosa avrebbe pensato uno come Pier Paolo Pasolini dell’IA e di tutto il portato che ci ha fatto giungere fin qui: la tecnologia, i dispositivi, la lavagna elettronica, i tablet, wikipedia, i siti sedicenti culturali, e tutto il resto. Temiamo di sapere la risposta. PPP tuonerebbe contro questi strumenti del potere, che servono solo a togliere responsabilità all’uomo di conoscere e criticare, di aderire alla realtà e al mondo, spostando queste incombenze sulle macchine.
E in effetti, a ben pensarci, a cosa ha portato l’IA? A licenziamenti di massa, alla sostituzione dell’uomo con la macchina in milioni di uffici, fabbriche, scuole, cioè all’impoverimento dei popoli e all’arricchimento smisurato dei capitalisti, parola ormai perduta. E forse porterà l’IA a decidere se spingere o meno il bottone della guerra atomica, togliendo a qualsiasi uomo di potere la responsabilità morale dell’estinzione della vita sul pianeta.
I peggiori di noi, spesso dirigenti della scuola, cominciano a suggerire che, avendo come tutor l’IA, gli insegnanti diventeranno obsoleti e inutili. Già accade con l’università: Massimo Cacciari ha denunciato, in una conferenza in quella di Urbino, come gli atenei digitali stiano desertificando le università reali. La risposta è un’utopia: sbattere fuori dalla scuola e da ogni ambito umanistico l’informatica tutta, non solo l’IA, ma anche i dispositivi: cellulari, tablet, computer, perfino i fili per caricare, forse tutta l’energia elettrica.
È insopportabile chi lo afferma, lo so. Forse per la stessa insopportabilità di Pasolini trucidato mentre scriveva Petrolio, il romanzo dove già ci avvisava dei prodromi di tutto questo.
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