"Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia" raccoglie la riflessione di Angelo Scola sul senso dell’età e del tempo che si fa breve
Una riflessione profonda sul tempo che si fa breve quando il peso degli anni improvvisamente diventa incombente. È il tema dell’ultimo libro del cardinale Angelo Scola, che – come spiega nelle righe introduttive – ha deciso di lasciare una traccia delle speculazioni suscitate dall’esperienza “di questi ultimi mesi, in cui la vecchiaia mi è venuta addosso con un’accelerazione improvvisa e per molti versi inaspettata”.
L’idea del testo, intitolato Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia (Libreria Editrice Vaticana, 2025) scaturisce dunque dall’esperienza personale inevitabilmente intrecciata con il lungo vissuto, nel suo caso particolarmente ricco di eventi rilevanti e importanti responsabilità, e di una cultura mai disgiunta dall’interesse esistenziale, dallo sguardo attento all’attualità, spaziando senza argini dalla letteratura alla filosofia e alla teologia.
Nella prefazione di Papa Francesco proprio questa convergenza di fattori è segnalata come primo motivo di apprezzamento e gratitudine per la “riflessione che unisce esperienza personale e sensibilità culturale come poche volte mi è accaduto di leggere. L’una, l’esperienza, illumina l’altra, la cultura; la seconda sostanzia la prima. In questo intreccio felice, la vita e la cultura fioriscono di bellezza”.
Bagliori di bellezza e di senso in effetti affiorano illuminando gli aspetti contraddittori e dolorosi dell’età segnata da fragilità e decadimento: “Mi sono rimasti impressi volti seri e solcati dalle rughe di quei vecchi contadini (anziani incontrati durante un viaggio in zone rurali della Romania, ndr) che esprimevano non decrepita decadenza, bensì grande dignità, oserei dire un senso di sacralità che emanava naturale autorevolezza” annota Scola nelle prime pagine, che lasciano trasparire, fra i ricordi, un sentimento della vita che non perde dedizione e senso con il passare degli anni.
Emblematica in tal senso la foto in copertina, che ritrae un vecchio pescatore intento a ricucire una rete, simbolo di un mondo che ancora riconosceva la vecchiaia come un privilegio, una sintesi di esperienze e di senso significativa per tutti e che per certi versi sembra evidenziare una distanza dal nostro presente.
Oggi infatti è tendenzialmente misconosciuta la valenza positiva degli anziani che pure, in buona parte, rappresentano una risorsa vitale affiancando i figli nella cura dei nipoti o anche spendendo energie e talenti in ambiti sociali e culturali. Del resto fra i segnali deleteri del “cambiamento d’epoca” in atto, Scola individua la scomparsa del binomio vecchiaia-saggezza radicato da secoli nella mentalità, quale causa di un diverso approccio agli anziani oggi prevalentemente considerati solo in termini problematici, come un peso economico-assistenziale che grava sulla società.
È comunque indubitabile che con il procedere degli anni le domande cruciali si acuiscano e l’approssimarsi di una inevitabile fine, della morte che nel nostro tempo subisce una rimozione forse più accentuata che in altre epoche, si carichi di inquietudine.
“Spesso la malattia è stretta compagna della vecchiaia. Personalmente la sto vivendo in tutta la sua durezza ma al tempo stesso in tutta la sua fecondità” confida l’autore andando al cuore della questione, mettendo in luce la domanda bruciante sul destino, sul dolore, sul desiderio di compimento che la stessa morte pare contraddire e definitivamente negare.
Riguardo al dolore spesso gravoso soprattutto per la desolante insensatezza, l’autore schiude sentieri inerpicati, ma percorribili calcando orme già tracciate: “Gesù non ha offerto spiegazioni o giustificazioni, ha affrontato la sofferenza prendendola su di sé… Cristo non ha cercato di cancellare il dolore attraverso una teoria più brillante delle altre, ma ha compiuto un’opera di presenza, anzi di totale immedesimazione con chi soffre, illuminandone il significato profondo: la collaborazione con la sua redenzione”.
Di fatto tutti i tentativi filosofici, scientifici e tecnologici appaiono totalmente inefficaci di fronte alla domanda di vita, che non è certo identificabile con un prolungamento degli anni, ma si rivela in una sete di eternità. La riflessione sull’esistenza si spinge allargando i suoi orizzonti oltre i confini temporali: la morte che, “valutata in termini umani, è semplicemente una fine, un puro e semplice passivo venir portato via”, come afferma Hans Urs von Balthasar, ha tuttavia sfondato un varco oltre il tempo.
“La follia del cristianesimo – prosegue lo stesso teologo – consiste nel fare di questo confine una specie di centro”. La liberazione dalla “condanna a morte” che nessun essere umano può evitare è operata solo grazie a Cristo crocifisso e risorto: la fede cristiana non annuncia semplicemente una morte serena, ma la resurrezione della carne.
La tensione a scavare in ogni piega dell’esperienza, a scoprire l’essenza di un travaglio umano che nella fase finale intensifica le sue provocazioni, percorre l’intera trattazione lasciando trasparire una certezza luminosa, proiettata anche su perplessità, zone di penombra, domande inesauste.
Pagine intense, ricche di citazioni letterarie di numerosi autori, da Buzzati a Leopardi, da Thomas Eliot a Julian Barnes, da Balthasar a Ratzinger… Pagine “da leggere e rileggere” – come suggerisce Papa Francesco nella prefazione – lasciano trasparire un insopprimibile desiderio d’eternità percepita, già nel tempo presente, come l’attesa di una novità inimmaginabile, inesauribile, infinita.
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