Spesso le indagini migliori nascono da un contraccolpo. Per un giornalista l’impatto con la realtà è sempre rivelante. Ci si lascia imbrigliare da suggestioni, echi, passioni che urtano e sconvolgono. Più spesso muovono. Così nasce il libro inchiesta di Salvatore Cernuzio sugli abusi, le violenze e le frustrazioni nella vita religiosa femminile, sottotitolo del ben più fascinoso Il velo del silenzio (San Paolo, 2021), dove due elementi positivi della vita consacrata diventano sipario per nascondere verità spinose.
L’incontro con il dolore sordo di un’amica, costretta a lasciare il luogo della propria vocazione, un monastero del centro Italia, ha spinto l’autore ad esplorare un terreno sondato solo dagli scandali veloci, mai realmente arato con i giusti strumenti dell’analisi e del giudizio. Si tratta degli abusi commessi su anime rapite da Cristo, votate alla vita contemplativa o attiva, finite calpestate da poteri autoritari e miopi, che non hanno saputo o voluto tenere insieme fragilità e vocazione, creatività e esigenze comunitarie. Cernuzio raccoglie, con rara sensibilità e persino pudore, le testimonianze di donne ferite, non solo dal fallimento del proprio progetto di vita, ma anche dal confronto con strutture di potere centenarie, incapaci di leggere l’evoluzione di genere, i cambiamenti antropologici, le nuove strutture cognitive e le loro ricadute sulla vita religiosa.
Sono tutte donne che hanno memoria delle loro scelte, persino dei loro sbagli, finite a fare esperienza dell’abbandono. Respinte da ciò che hanno agognato e che ancora sentono come unica ragione della propria esistenza. Colpisce l’assenza di elementi scabrosi colmata da una banalità di atti volutamente castranti, vessatori, tirannici e, in almeno un caso, persino razzisti. Tutti saldamente ancorati ad un clericalismo ancora più pericoloso, perché esercitato da superiori che invocano carismi e tradizioni per giustificare soprusi e abusi di coscienza.
Nelle storie, che si susseguono come stazioni di una via crucis al femminile, elementi comuni e piccoli scarti di quella che siamo abituati a chiamare “violenza emotiva” e che troppo spesso viene denunciata solo nel caso di relazioni tra uomini e donne. Si scopre invece che l’universo della consacrazione femminile, in alcuni casi, è patologicamente malato di autoritarismo, mancanza di libertà e di coscienza, di rigidità aggravate dalla mancanza di dialettica interna e confronto con l’esterno, finendo per marginalizzare chi ha una struttura umana o semplicemente una formazione diversa. Non è un caso che molte delle fuoriuscite da congregazioni religiose femminili siano giovani, provenienti da paesi in via di sviluppo ma fortemente consapevoli della propria dignità, strutturate in modo da non essere manipolabili. Così come è chiaramente rivelatore il dato per cui ad essere frainteso o spesso impropriamente richiesto è il voto di obbedienza, vera e propria arma per castrare qualsiasi slancio o per reprimere ogni genere di disagio.
Nella sofferenza di Anna, Marcela, Therèse e le altre risuonano gli interrogativi su una Chiesa che percorre la via sinodale senza forse mettersi realmente in ascolto. E soprattutto che non vuole contemplare, con Misericordia, le proprie imperfezioni, per riscoprire la propria bellezza. Un libro da leggere.
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