“Che cosa diranno i miei genitori se dovranno aver sempre timore ogni volta che mi trovo in chiesa?” è l’esclamazione che mi rivolse anni fa, mentre eravamo in viaggio, un giovane amico diventato prete da poco meno di due mesi. Aveva appena saputo dell’omicidio, avvenuto qualche ora prima in una chiesa della Normandia, di un sacerdote al termine della celebrazione della Messa da parte di due terroristi che avevano giurato fedeltà allo Stato islamico.
La domanda del mio amico non riguardava una qualche considerazione religiosa o geopolitica, non traduceva immediatamente una condanna del gesto efferato o una qualche ammirazione per il sacrificio dell’anziano confratello, ma tradiva un senso di insicurezza, un sentimento di spaesamento che insinuava un’ombra di incertezza sui gesti più quotidiani ed elementari del prete: anche la propria casa, la chiesa, poteva diventare lo scenario di un tragico imprevisto.
Proprio alla vicenda del martirio di padre Jacques Hamel, avvenuto a Saint-Étienne-du-Rouvray il 26 luglio 2016, si ispira il romanzo La grande tribolazione, scritto nel 2020 dal giornalista francese Étienne de Montety e recentemente pubblicato in traduzione italiana dalla casa editrice e/o.
L’autore prende spunto dal fatto di cronaca per raccontare, intrecciandole fra loro, le vicende di cinque diversi personaggi immaginari. Il primo è padre Georges Tellier, che da ragazzo si è ritrovato sul fronte della guerra d’indipendenza di Algeria, dove rimarrà sconvolto per l’uccisione di un suo compagno durante un agguato.
L’orrore per l’accaduto e la coscienza di aver solo per caso scampato lo stesso pericolo lo spingono a rivedere profondamente la sua vita e ad entrare in seminario.
Segue la figura di Frédéric, figlio di immigrati del Vietnam, che entra in polizia senza particolare slancio dopo che la fidanzata lo iscrive al concorso di selezione; sarà per lui l’inizio del confronto con il mistero del male nelle sue molteplici forme, fino a doverlo affrontare in primissima linea nelle forze speciali.
Appare poi suor Agnès, che da ragazza ben poco convenzionale decide di entrare, folgorata da una testimonianza su Charles de Foucauld, nelle Piccole Sorelle di Gesù per condividere, senza perdere il suo spirito anticonformista, la vita degli ultimi, fino a ritrovarsi in una periferia francese tra immigrati musulmani.
Infine, i due autori dell’attentato finale, David e Hisham. Il primo, adottato da una famiglia francese, vive il dramma della ricerca della propria identità; la fatica a farsi accettare lo spingerà a guardare con crescente distacco critico e infine con disprezzo il mondo borghese, tranquillo e senza ideali in cui era cresciuto, alla ricerca di qualcosa che possa riempire la sua vita. Hisham, invece, figlio di immigrati in Francia, sperimenta difficoltà ad adattarsi alla società francese, fino a guardarla con odio.
Seguendo specialmente le vicende che nel corso del libro conducono David e Hisham alla radicalizzazione, l’impressione è di percorrere un piano inclinato lungo il quale sembra inarrestabile la discesa verso gli abissi dell’odio e della violenza. De Montety con poche pennellate riesce a riprodurre i ragionamenti apparentemente inoppugnabili che conducono i due nelle braccia del terrorismo.
In generale tutte le figure, anche quelle più positive e generose, appaiono profondamente sole: le decisioni più importanti sono perlopiù prese in autonomia, nel segreto della loro coscienza.
Al tempo stesso, questo fattore comune mostra anche la differenza tra generazioni: Agnès e Georges riscoprono autonomamente la tradizione cristiana del loro paese e delle loro famiglie, trovano in essa un patrimonio che fino a quel momento avevano ignorato e che subito sembra riprendere vita non appena interrogato; David e Hisham, al contrario, vanno in cerca di riferimenti nel mondo digitale, volutamente lontano dalle consuetudini dei loro prossimi.
Una scelta come quella di Agnès e Georges sarebbe ancora possibile, nella nostra epoca, senza una comunità? Una persona animata anche dalle domande più vere e vive troverebbe ancora una qualche tradizione cui fare riferimento e con cui confrontarsi?
L’impressione che si ricava è che la vita di tutti i personaggi sia mossa da incontri casuali, da avvenimenti non ricercati, quasi in balia delle vicende di un mondo sullo sfondo che, nell’arco temporale delle loro esistenze, appare sempre più complesso, indecifrabile ed estraneo.
Soprattutto, la vicenda di David e Hisham lascia un velo di tristezza nel lettore perché sembra essere costellata da desideri profondi di giustizia e verità che incontrano continuamente risposte parziali, superficiali (su tutti il goffo tentativo di dialogo del padre di David con suo figlio), ideologiche o soffocanti.
Tale percezione di casualità sembra confermare il sentimento del mio amico prete di un’esistenza in balia di circostanze ingovernabili; tuttavia, tra le righe del romanzo, la figura di padre Georges lascia intravedere l’unica possibile soluzione per vivere questa precarietà, l’unica prospettiva che trasforma un inutile sacrificio in martirio: si può accettare che la vita ci venga improvvisamente sottratta solo se si è deciso da tempo di donarla.
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