Il 20 gennaio 2025 qualcosa è cambiato. Ha giurato alla Casa Bianca Donald Trump, il 47esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. E ha dato vita a una giostra di azioni, discorsi, ordini esecutivi ed interventi che hanno di fatto occupato tutto lo spazio dell’informazione della politica in America e nel mondo.
Per cercare di capire l’origine di questo tsunami, orientarsi negli accadimenti di politica internazionale e nei cambiamenti degli scenari economici e politici, l’Associazione Pragma ha invitato Sergio Scalpelli, oggi collaboratore del Riformista, già direttore della Casa della Cultura di Milano e tra i fondatori del Foglio, Marco Bardazzi, coautore del fortunato podcast “Altre Storie americane”, per anni corrispondente dagli Stati Uniti, e Mattia Ferraresi, giornalista del Domani.
“L’elezione di Trump ha da una parte spostato il baricentro geopolitico degli interessi americani verso un confronto e scontro con la sola potenza cinese, unica riconosciuta minaccia agli interessi degli Stati Uniti, per cui ogni altra guerra – come quella in Ucraina – è derubricata a distrazione dal problema principale” ha esordito Scalpelli.
Per capire l’amministrazione Trump dobbiamo fare riferimento innanzitutto al sostrato culturale che la esprime, nel quale si riconoscono con maggiore o minore consapevolezza gli elettori americani e chi lo sostiene. “Nasce da un’insofferenza per le derive progressiste della cultura woke, ma anche da una critica più profonda ai principi della cultura liberale” sottolinea Ferraresi. “Se guardiamo alla prima raffica di ordini esecutivi, vediamo che ad essere presi di mira sono i simboli di questo pensiero”.
Oggi la politica dell’Amministrazione USA, quasi per reazione, si rivolge verso un isolazionismo economico, fatto di dazi e protezione del sistema produttivo americano, ma anche di lotta all’immigrazione e di una chiusura di tutte le crisi internazionali che di fatto non devono riguardare gli Stati Uniti. “Non è una cosa nuova nella politica americana: di fatto negli anni Venti, fino alla crisi della borsa e negli anni Trenta, gli Stati Uniti attuarono una politica rivolta all’interno e agli investimenti infrastrutturali pubblici, e una neutralità sul piano internazionale. Questo cessò con l’attacco a Pearl Harbour e l’ingresso nella Seconda guerra mondiale” ricorda Bardazzi.
Al centro dell’analisi rimane la questione ucraina, emblematica da una parte del nuovo corso americano, ma anche della nuova posizione americana nei confronti dell’Unione Europea: la ricerca di una pace immediata, nel dialogo con Putin e la Russia, che sembra individuare nel presidente ucraino Zelensky il nuovo “nemico”, per costruire una pace in cui, sostanzialmente, sembra che Putin abbia, in qualche modo, vinto. “In tutto questo c’è la questione dell’alleanza storica euro-atlantica che è agli occhi di Trump e di Vance sacrificabile” chiosa Scalpelli.
La vicenda dell’Ucraina è indigesta agli occhi di Trump, sia per il difficile rapporto personale con il suo leader, sia perché al centro del primo tentativo (fallito) di impeachment nei confronti del presidente americano. “Ma per il popolo americano che si riconosce in Trump è una di quelle grandi questioni che catalizzano tutte le passioni del liberalismo occidentale: l’Ucraina è il simbolo del Paese che vuole occidentalizzarsi, accedere alla storia, che è fatta di diritti individuali, che poco dopo si colorano anche di arcobaleno, mentre dall’altra parte c’è la grande forza moralizzatrice guidata da Putin e da Kirill che dice che l’Occidente ha reso il peccato un diritto” spiega Ferraresi.
Insomma, il mondo non è più quello di prima: il novembre 2024 può essere la data di un cambio radicale di orizzonte. Restituisce un’America profondamente divisa al suo interno: “Trump ha vinto per pochissimo le elezioni americane: 77 milioni contro 75, ha vinto per 2,3 milioni su 150 milioni di elettori, ha vinto col 49,8% contro il 47%.
Il Paese ha espresso un malumore verso l’establishment. Al discorso al Congresso si sono viste due Americhe, una repubblicana e una democratica, che non si parlano e si odiano profondamente. Questo sta provocando una serie di malumori nella società, dai veterani che si vedono tagliare i pagamenti dell’amministrazione pubblica ai pensionati, ai dipendenti pubblici e soprattutto alle università, che saranno il primo luogo dove vedremo esplodere forse qualcosa di protesta”, spiega Bardazzi.
E l’Europa? “Ha preso due begli sganassoni” ricorda Scalpelli, “e questo ha provocato una qualche forma di reazione positiva i cui frutti vedremo forse nelle prossime settimane”. Del resto nel suo discorso a Monaco, JD Vance, il vicepresidente, è stato molto duro nel disegnare un continente ripiegato su sé stesso, incapace di leggere e accettare i mutamenti al suo interno. Quasi che l’Europa si sia costituita nelle sue forme politiche e istituzionali all’ombra della difesa americana, costruita per la Guerra fredda e mantenuta in vita anche dopo che la Guerra fredda era finita.
“Questa è una cosa che i Presidenti americani hanno sempre detto, da Eisenhower a Clinton a Obama: dovete pagare di più, basta scroccare, basta fare i free riders. Penso che il novembre del 2024 potrebbe essere una buona data per dire che questa epoca è ufficialmente finita”, conclude Ferraresi.
Un ultimo passaggio sulle Big Tech, prima schierate con i democratici e oggi alla corte di Trump fin dal suo insediamento. Quasi un nuovo patto tra gli innovatori della Silicon Valley e il nuovo establishment trumpiano che ha ad oggetto la libertà di crescere, creare valore ed espandersi, liberi da regole rigide e dai vincoli che l’antitrust americana stava imponendo loro.
“Cosa dire di fronte a tutto questo? – si chiede Bardazzi –. È un patto che di nuovo ci chiama come europei a decidere che cosa vogliamo essere. Perché noi abbiamo fatto una legislazione sull’intelligenza artificiale che è all’avanguardia rispetto a tutto il mondo e l’abbiamo fatta l’anno scorso in un momento in cui ancora dalla Silicon Valley facevano credere di essere interessati ad avere le regole del gioco.
Adesso vogliono essere lasciati liberi di fare anche l’intelligenza artificiale senza nessun vincolo. Noi siamo la culla del pensiero e di una certa attenzione sull’uomo che ha a che fare anche con l’intelligenza artificiale. Vogliamo quel modello lì di totale libertà di fare qualunque cosa o rivendichiamo come europei il diritto di mettere le regole che valgono anche per loro?”.
Qualcosa è cambiato, insomma, e anche noi dobbiamo decidere che cosa vogliamo essere.
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