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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ “Virus”, quell’acqua torbida in cui sguazzano i bisonti…

  • Letture e Recensioni
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LETTURE/ “Virus”, quell’acqua torbida in cui sguazzano i bisonti…

Moreno Morani
Pubblicato 7 Dicembre 2020
31enne italiano morto in Germania

LaPresse

La linguistica propone confronti e collegamenti d'idee e di fatti completamente inattesi. Accade anche con la parola "virus"

Prima che la pandemia dilagasse sul nostro pianeta, la maggior parte dei contesti in cui compariva la parola virus apparteneva all’ambito dell’informatica. Virus era la definizione che si dava di un codice maligno che aveva la capacità di insediarsi in un software riproducendosi e infettando tutti i computer in cui il software contaminato veniva eseguito. Il diffondersi dei computer e i pericoli derivanti dalla possibile propagazione incontrollata di questi agenti malevoli portò a creare mezzi di difesa, consistenti in programmi capaci di intercettare la presenza di virus e di eliminarli: gli antivirus. Tutto questo contribuì a dare popolarità anche all’aggettivo virale, detto di notizie in grado di diffondersi con estrema rapidità, soprattutto nel mondo dei social e del gossip.


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Antecedentemente al diffondersi dell’informatica il termine veniva usato nel lessico scientifico, soprattutto della biologia e della medicina, indicandosi con virus un agente patogeno che si insedia in modo parassitario nelle cellule di esseri viventi infettandole. Nel lessico della scienza moderna virus fa la sua comparsa in Francia nel XIV-XV secolo, ma nel senso specifico e attuale compare negli ultimi decenni del secolo XIX. La parola ha avuto notevole fortuna in moltissime lingue di tutto il mondo: virus è presente in quasi tutte le lingue d’Europa, e non solo, anche se certe forme esotiche (p.es. hindi vairusa o arabo al-fairus) tradiscono la loro provenienza dall’ambito inglese (in arabo con l’aggiunta dell’articolo al– e la sostituzione di v, fonema inesistente in questa lingua, con f).


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Ma che cosa significa esattamente virus? Si tratta di una parola latina abbastanza singolare: chi ha studiato il latino alle medie nelle scorse generazioni ricorderà certamente quei tre misteriosi sostantivi della seconda declinazione, al genere neutro ma con una terminazione in –us, a differenza di tutti gli altri sostantivi neutri che hanno ‑um (gli altri due sono pelagus “mare” e vulgus “volgo”). Si tratta quindi di una formazione inusuale dai contorni un po’ incerti.

Inizialmente in latino la parola non ha necessariamente contenuto negativo: virus si dice degli umori organici presenti in ogni genere di animali e piante. Progressivamente il valore negativo tende a prevalere: un malum virus, cioè un umore cattivo, è il veleno dei serpenti, che Giove ha aggiunto a questi animali dopo la fine dell’età dell’oro (malum virus serpentibus addidit atris “aggiunse un umore maligno ai neri serpenti”, dice Virgilio, Georgiche I 129). Poi virus si dice anche di liquidi in genere, e in modo sempre più frequente di liquidi che hanno proprietà mortifere o comunque perniciose: virus amatorium è il filtro d’amore, usato nei riti magici per riconquistare l’affetto dell’amato o dell’amata. Alla fine virus è il veleno, concreto o metaforico (virus mentis “il veleno della mente”).


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L’analisi linguistica permette di risalire oltre. Innanzitutto virus, da un più antico *vīsos, ha collegamenti molto chiari con vari termini indoeuropei indicanti pozioni velenose, quali il greco iós (da *wisos), il sanscrito viṣa- e altri. Ma mentre le parole greche e latine rimangono isolate nel lessico, la parola sanscrita ha un collegamento con una radice verbale, veṣati “egli fa colare”: possiamo così porre una radice originaria *weis- e allargare lo sguardo a diverse altre formazioni appartenenti a lingue diverse.

L’idea originaria della radice dovrebbe essere quella di “colare l’acqua, soprattutto torbida”, e da questo valore fondamentale si arriva a formazioni che descrivono anche paesaggi ricchi di acqua o fango e gli animali che vi abitano. Per fare qualche esempio: l’antico islandese veisa “palude, acqua stagnante”, l’antico inglese wase (a cui risale il moderno ooze) “fango, melma fine”. Potrebbe risalire a questa radice il latino vena, e altri termini che hanno valore più sfumato rispetto a quello fondamentale della radice. La radice potrebbe essere presente anche nel nome di corsi d’acqua che vanno dall’area francese (Vesère, Vezouse) a quella celtica e germanica (Weser) fino alla lontana Vistola.

Un termine che ancora richiamiamo è il bisonte, termine la cui origine si ravvisa nella formazione germanica weisunt, l’animale che ama il fango, parola ripresa nel latino bison e nel greco bisōn.

Siamo così passati dal virus virtuale dell’informatica al virus microscopico della biologia e arrivati a un animale di taglia assai più corpulenta. Come spesso, la linguistica ci propone confronti e collegamenti d’idee e di fatti completamente inattesi!


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