In un periodo piuttosto complesso per la Libia, che vede Tripoli divisa a metà tra le forze militari filogovernative e quelle ribelli, il premier ad interim Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh ha deciso a sorpresa di riconoscere la giurisdizione della Corte penale internazionale dell’Aia, riaprendo all’ormai noto scontro sul mandato d’arresto che pende sul generale Osama Najeem Almasri: il libico è considerato dalla Corte un torturatore per alcuni crimini che avrebbe commesso in qualità di carceriere nella prigione di Tripoli; mentre alla sua figura è soprattutto legata alle vicende che l’hanno visto arrestare, liberare e riaccompagnare in Libia da parte delle autorità italiane.
Facendo prima di tutto un passo indietro, è utile ricordare che fino a qualche settimana fa Almasri godeva di ampio supporto da parte del premier libico, pur essendo a capo di una milizia indipendente chiamata Rada, e che va vista come una sorta di polizia giudiziaria: dopo l’uccisione di al-Kikli – trovate tutti i dettagli in quest’altro articolo –, la Rada si è schierata dalla parte dei ribelli, rivoltandosi contro il governo ufficiale di Tripoli e finendo per essere quasi completamente distrutta dall’esercito (o meglio, da altre milizie filogovernative), che è riuscito a conquistare alcune roccaforti come le prigioni controllate dal presunto torturatore libico.
La Libia riconosce la giurisdizione della CPI: dal procuratore Khan la richiesta di consegnare Almasri
Poco prima del viaggio in Italia del generale, la CPI – e in particolare il procuratore capo Karim Khan – aveva emesso un mandato d’arresto internazionale nei confronti di Almasri, accusandolo di crimini di guerra, tortura, stupro, violenza sessuale, omicidio e altri capi simili, a fronte di alcune dichiarazioni da parte di ex detenuti che sono passati tra le sue mani: l’Italia aveva scelto di non eseguire il mandato d’arresto a causa di alcuni cavilli tecnici, e il carceriere era tornato in patria, con la Libia che fino a pochissimi giorni fa non riconosceva la giurisdizione della Corte e non era costretta a eseguire il mandato d’arresto.
Alla fine, un paio di giorni fa, il premier Dbeibeh – dopo aver quasi completamente eliminato la Rada – ha deciso di firmare il Trattato di Roma, minacciando (pur non in modo diretto) di consegnare Almasri alle autorità internazionali affinché avviino il processo: a cogliere la palla al balzo ci ha pensato proprio il procuratore Khan, che in un comunicato – auspicando l’avvio di una buona collaborazione tra l’Aia e Tripoli – ha chiesto formalmente a Dbeibeh di arrestare o consegnare il generale libico.