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Home » Sostenibilità e Sussidiarietà » L’IMPATTO ZERO NON ESISTE/ La provocazione per incentivare la sostenibilità

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L’IMPATTO ZERO NON ESISTE/ La provocazione per incentivare la sostenibilità

Ada Rosa Balzan ha dato alle stampe un nuovo libro che rappresenta una bussola indispensabile per orientarsi nel mondo della misurazione ESG della sostenibilità

Int. Ada Rosa Balzan
Pubblicato 7 Dicembre 2022
Foto di StockSnap da Pixabay

Foto di StockSnap da Pixabay

L’impatto zero non esiste. Qualsiasi attività, qualsiasi azione, qualsiasi essere vivente lascia una “traccia”, un’impronta sull’ecosistema, magari singolarmente ininfluente ma a volte devastante se moltiplicata per gli otto miliardi di anime che affollano il nostro mondo. L’impatto zero prevede azioni o imprese che non alterano il bilancio naturale di anidride carbonica, metano o altri gas inquinanti, ma anche stili di vita che ne riducano le emissioni. Facile quindi definire l’impatto zero una tangente all’infinito, ossia una mèta utopistica alla quale si può al massimo tendere, ma mai arrivare compiutamente.


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Da qui è chiaro che l’impatto zero è una strategia, tesa a minori impatti ambientali (circular for zero), che si concentra sostanzialmente sull’uso dell’energia, sul modo di progettare i prodotti e sulla catena di fornitori, sul consumare solo la quantità di energia prodotta, raggiungere un equilibrio sostenibile tra disponibilità e domanda di acqua ed eliminare i rifiuti solidi in discarica e via dicendo. “L’impatto zero non esiste” è il titolo del nuovo libro di Ada Rosa Balzan (prefazione di Sebastiano Zanolli), “una bussola indispensabile per orientarsi nel mondo della misurazione ESG della sostenibilità”. Balzan è uno dei massimi esperti del settore, docente universitaria, ceo e founder di ARB Sbpa, la società di consulenza che ha dato vita ad una start up dinamica, con SI Road, una piattaforma per la gestione integrata della sostenibilità.


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La sua vocazione per la sostenibilità è stata indotta da studi, da docenti, da personaggi che l’hanno influenzata?
Beh, pensi che alla discussione della mia tesi di laurea, 25 anni fa, tutta impostata sul concetto di sostenibilità, mi fu detto “Bellissimo lavoro, ora però può metterlo in un cassetto”. Io invece decisi che sarebbe stata proprio quella la mia strada. Quindi no, direi che è stata davvero una scelta solo mia.

E venticinque anni fa fu anche una scelta poco o niente condivisa, vero? Di sostenibilità si parlava ben poco…

È vero, molto poco. Ma da allora a oggi di strada se n’è fatta tanta, sono cresciute sensibilità e consapevolezza. Adesso la sostenibilità non è solo una questione di rispetto, ma è anche un asset conveniente, visto che nel mondo finanziario e bancario la certificazione di sostenibilità di un’impresa vale nelle linee di credito, nelle assegnazioni. Da circa tre anni gli investitori si basano su analisi che comprendono anche la sostenibilità. E anche i fondi Pnrr si bloccano se non viene riscontrata una certificazione di sostenibilità dei beneficiari.


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Mi perdoni, Balzan, ma con tutte queste premesse e con la passione che si intuisce alla base del suo lavoro, il titolo del suo libro sembra al contrario smorzare gli entusiasmi e rendere vano ogni sforzo…

Il titolo in realtà è una provocazione, un messaggio, che vuole stimolare la consapevolezza che ogni nostra scelta genera una conseguenza. Spesso, soprattutto nel marketing, si sente parlare di “impatto zero”, ma è solo una formuletta destinata a suggestionare. Io vorrei piuttosto contribuire a incentivare la cultura della sostenibilità, perché agire per rendere un mondo migliore fa vivere meglio anche noi. Salvare il pianeta vuol dire salvare noi stessi.

Lei ha suddiviso il libro in tre capitoli. Li può riassumere?

Sono tappe del mio percorso. Il primo è intitolato “Fondamentali”, e propone le mie 4C della sostenibilità: capire, costruire, concretizzare e comunicare. Capire i problemi, costruire gli strumenti di gestione più adatti, concretizzare l’azione e alla fine comunicare le policy adottate. Il tutto è ovviamente basato sulla sensibilità dei soggetti, privati e imprese, una sensibilità oggi aumentata dopo la pandemia, quando c’è stato più tempo per considerare l’importanza di confrontare il nostro agire con l’impatto nell’ecosistema.

E gli altri capitoli?

Riguardano lo “Sviluppo”, cioè l’evoluzione del concetto di sostenibilità nel mondo e nel mio personale, con la creazione della start up innovativa SI Road, e “Ispirazioni” (a cura di Myriam Defilippi), cioè gli esempi di imprese e territori che abbiamo aiutato a raggiungere buone posizioni nel ranking di sostenibilità, come Ferragamo, Cantine Europa, Alpe Tognola, Carrera Jeans, la Provincia autonoma di Trento, TH Group, la prima catena di turismo in Europa a certificare la sostenibilità di tutte le sue strutture con il SI Rating.

SI Rating, l’algoritmo made in SI Road che calcola la sostenibilità, è uno strumento che resta sempre uguale o che si modifica sulla base di mutamenti ad esempio ambientali?

Cambia costantemente, gli aggiornamenti si susseguono seguendo non solo variazioni ambientali, ma anche le emissioni indirette, l’implementazione della parità di genere e salariale, la governance e molto altro ancora. Eravamo partiti con una valutazione di sostenibilità sufficiente con la soddisfazione del 36% dei parametri considerati, adesso siamo passati al 50%. Oggi con la sensibilità è aumentata anche la serietà, e nel 2022 l’asticella è stata ulteriormente alzata.

(Alberto Beggiolini)

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