Seconda parte dell’intervento di Silvio Cattarina al convegno “Disagio psichico e post-modernità”, Seveso 28-30 marzo 2025 (ndr).
Altra, grande, enorme questione: la dignità, il valore, il rispetto che dobbiamo portare al ragazzo (all’utente, al paziente, allo scolaro). Questione affatto scontata. Riflettiamo circa l’inaudita gravità dei fatti accaduti al Beccaria, a Santa Maria Capua Vetere, al ragazzo di Foligno, a Miami. Quale grado di violenza, di aggressività vi è nei comportamenti, nelle più varie situazioni, per strada, negli stadi, alla guida dei veicoli, nei pronti soccorsi e negli ospedali in genere, negli ospizi con i vecchi, persino negli asili nido. Anche da parte di organi istituzionali.
Ma il problema – dobbiamo gridarlo forte – il male non è tanto nel sistema carcere, nel sistema scuola, nell’ospedale, ma nel mio cuore, nel cuore della persona.
Nel mondo giovanile vi è una fascia di ragazzi portatori di disagio, di un malessere psicologico che merita una considerazione particolare e speciale, merita l’implementazione di servizi più specifici.
Moltissimi ragazzi che pur afferiscono ai nostri servizi non sono tossici, psichici, portatori di varia sofferenza, autolesionisti, anoressici. Basta con queste classificazioni merceologiche, tecnocratiche. Non può essere che tutti i giovani del mondo, indifferentemente e indiscriminatamente, debbano passare dallo psicologo e dallo psichiatra!
La gran parte sono “solo” ragazzi. Ragazzi abbandonati, soli, trascurati, non è stato detto loro perché si è al mondo, se c’è un senso al dolore, alla “sfiga”, come la chiamano loro. La loro vera condizione è non saper vivere, affrontare le situazioni, non sapere perché vivere e per chi e con chi vivere, essere soli. Per la stragrande maggioranza dei giovani è una questione educativa perché sono stati tirati su senza ragioni adeguate e forti, senza motivazione all’impegno, al sacrificio, lasciati nella mediocrità, nella superficialità… così sono pieni di risentimento, di pretestuosità, di supponenza, di vendicatività. Più nessuno che dica loro che su questa terra, che nella realtà c’è una grande cosa e che il problema della vita è cercare questa grande cosa! Altro che la performance, la prestazione.
Ripeto allora: le classifiche, le categorizzazioni inevitabilmente divengono un alibi per non impegnarsi, per non affrontare i problemi.
Altra esigenza, altro grande bisogno di chi chiede aiuto, di chi è portatore di difficoltà e di disagio – che sommamente si riscontra nelle comunità, nei luoghi di cura o nelle scuole – è il bisogno di serenità, di correttezza nei rapporti, di amicizia, di tenerezza, di vita ordinata, disciplinata, pulita, di bellezza, di bellezza!
Sto alludendo al linguaggio, al comportamento, all’abbigliamento… che vengono permessi, tollerati. Perché non chiedere ai ragazzi un impegno a tutto tondo, alto, bello, dignitoso? Anche qui, basta con tutta questa trascuratezza e trasandatezza. Perché continuiamo a tollerare situazioni di evidente degrado? Penso alle scuole dove spesso sono chiamato a svolgere degli incontri con i professori e gli studenti. Ormai viene permesso di tutto e tutto viene tollerato, anche le nefandezze più estreme: più nessuno che ha il coraggio di intervenire, di dire una parola su ciò che è bene e ciò che è male!
Ai ragazzi è possibile dare tutto e tanto, vicinanza e affetto da una parte, ed è possibile e necessario chiedere ed esigere tantissimo: precisione, metodo, serietà. Quando questo avviene i ragazzi sono i primi ad essere contenti, a desiderare di diventare protagonisti e responsabili. Insomma, da che mondo e mondo si vive per amore e per timore, in forza dell’amore e anche in forza del timore!
Altra indispensabile, ineliminabile esigenza: saper parlare, capire, giudicare. Il grande bisogno di ogni uomo, ancor più di ogni ragazzo, è quello di essere amato e di amare. Ma come si fa ad essere amati e ad amare se non si capisce, se non si comprende, se non si conosce, se non si sa parlare, dare un nome alle cose? “Quanto avrei voluto saper parlare con la mia ragazza anziché fare solo certe cose!” (Pasqualino)
Povertà relazionale, affettiva, espressiva, analfabetismo di ritorno… altro che la droga, le sostanze, la devianza. Non è possibile avere ragazzi che non parlano, non sanno dire una parola, un’emozione, un sentimento – tutti così, più quelli fuori che quelli dentro –. È inutile tirarli fuori dalla droga, dal problema che hanno se poi rimangono dei poveretti che non sanno neanche dove hanno le tasche!
I nostri due incontri al giorno! Uno al mattino, uno al pomeriggio, tutti giorni, anche sabato e domenica, anche tutta l’estate. “Non riuscirai a tenerli seduti…” mi dicevano gli assistenti sociali e gli psicologi quando stavo per aprire la comunità, “i tuoi ragazzi non stanno fermi… a scuola stavano sempre nei corridoi, i loro professori sono stati i bidelli”. Invece quanto tengono agli incontri, a parlare, a capire, a raccontare, a descrivere, a comprendere.
Occorre saper e poter compiere e far compiere un cammino. Sapere per capire; capire per comprendere; comprendere per amare; amare per perdonare; perdonare per abbracciare.
Chiedere tanto, chiedere tutto; soprattutto a chi soffre, chiedere il doppio. Sennò è come se non credessimo nei ragazzi, come se non dessimo loro alcun valore e, soprattutto, non attribuissimo alcun valore al dolore, alla sofferenza che è toccata loro in sorte.
Il problema del male e del dolore non è innanzitutto quello di capirne le cause e individuare le responsabilità; bensì quello di trovare un senso, un’eventuale utilità, cosa vuol farmi capire ciò che mi è successo. A cosa mi chiama, quale cambiamento, responsabilità nuova mi vuole dare?
Sapere perché il mio papà tutti i giorni picchia la mamma a cosa mi serve? Voglio capire che cosa mi chiede questa cosa; io, dopo tutta questa sofferenza, voglio sapere come posso accogliere, perdonare il mio papà, cosa posso fare di bene per gli altri!
In definitiva io penso che il dolore più grande non sia il male, il dolore più grande è non conoscere il bene, non conoscere l’amore.
(2 – fine)
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