Quanti insegnamenti dalla vittoria a Roma di Alemanno. Li metto in fila, sicuro che altri potranno aggiungerne di più interessanti a mente meno agitata dalle emozioni.
1) Alemanno non ha impostato la sua proposta ai romani sull’ideologia, ma sull’unità tra le persone dinanzi ai problemi. Niente ideologia, molta presenza, e la proposta di un metodo. Si rifletta. I suoi avversari hanno visto in un successo di Alemanno la crescita della “marea nera”. Insomma, le persone che avessero votato il candidato del Pdl sarebbero nemici della libertà, complici di potenziali dittature, un fascio di interessi abietti. Anche Rutelli – persona per tanti versi stimabile – è caduta in questa trappola.
2) La paura. La partita si è giocata molto a proposito di questa parola. Alemanno ha spiegato che esiste il diritto a non avere paura, che la sicurezza è un bene che consente di vivere, ha chiamato tutti a collaborare ad una convivenza dove il nemico sia la violenza. Lo hanno accusato di cavalcare la paura, solo perché l’ha riconosciuta e offerto la possibilità di uscirne. Rutelli e i suoi compagni hanno invece individuato non una paura reale, e nemica della povera gente, ma la loro paura di perdere il potere. Indicare in Alemanno un uomo di cui avere paura in quanto esponente della “destra” è stato l’ultimo atto di una costruzione della realtà parametrata sugli interessi di quel giro di potere che tiene in mano Roma da 15 anni.
3) Interessante un fatto. Alemanno ha avuto la stampa contro, le televisioni contro. Nei duelli televisivi, a mio sommesso giudizio, ha pure perso le partite dal punto di vista dialettico: la tecnica di Rutelli era più affinata, eppure… Alla fine in questo mondo dominato da internet dove vince la legge della giungla e dell’etere e della carta stampata dove vince la cultura nichilista: ha vinto uno che è il loro bersaglio perfetto. Vuol dire che il potere non è onnipotente. Che esiste un potere dei senza potere, una serie di rapporti veri, di gente cui si suona il campanello, che è più forte e credibile del tam tam indistinto. Non è poca cosa. Dà speranza.
4) Adesso è il momento di una grande responsabilità. Occorre che la politica nel momento in cui s’insedia, s’incadrega, come si dice in Lombardia, non abbandoni il metodo che ha dato ragione al Popolo della libertà. Questo metodo è quello della fiducia in questi uomini che siamo noi italiani, noi romani, noi milanesi, noi palermitani. C’è qualcosa dentro di noi che desidera il bene. La tradizione cristiana di cui volenti o nolenti siamo figli, magari fedifraghi ma figli, è risuonata in questa campagna elettorale nella testimonianza di alcuni candidati, di alcuni leader. Essi – penso a Formigoni, ad Alemanno, anche in certi nuovi accenti di Berlusconi – non pretendono di essere i maghi che danno la felicità agli uomini e alle donne, ma persone che hanno fiducia nella capacità dei loro simili e del popolo di ricordarsi di quel desiderio originario che li porta a costruire qualcosa di buono.
5) Questa vittoria diventa una cosa seria se non creerà nuove camarille sul modello delle antiche, ma darà impulso alla risposta più necessaria che c’è: quella all’emergenza educativa. I sindaci sono importanti. Da certe parti si è passati dallo statalismo allo staterellismo. Anch’essi sono chiamati a lasciar spazio alle energie positive e finora soffocate che pur cercano di rialzarsi in questo disastrato Paese. Disastrato sì, ma con un desiderio magnifico di ripresa, di smettere di lamentarsi che anche le elezioni romane confermano.