Liz Truss è il nuovo capo del governo inglese, dopo le dimissioni di Boris Johnson. Come sottolinea in questa intervista Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare all’Università di Milano-Bicocca ed esperto del sistema giuridico e politico britannico, “per un paese considerato da noi europei grezzo e retrogrado, si tratta della terza donna primo ministro nella sua storia nominata da un capo di Stato anch’essa donna, la regina”. Un paese in continua evoluzione, il Regno Unito, ci ha detto ancora Martinelli, “in cui, in tema di omosessualità, che ancora negli anni 70 era considerata un reato penale, un primo ministro conservatore ha promulgato una legge non solo sui matrimoni gay, ma anche sulle adozioni da parte di coppie gay”. Sul fronte economico Liz Truss dovrà fare i conti con un’inflazione tre volte superiore a quella dell’Ue e con costi energetici altissimi.
Secondo quanto si legge sui media inglesi, il governo Truss darebbe la priorità agli stimoli alla crescita rispetto alla ridistribuzione della ricchezza. Una visione tipicamente thatcheriana?
Come ci siamo detti in altre occasioni, sul piano ideologico non vedo grandi discontinuità tra il nuovo primo ministro e l’impostazione di Boris Johnson. Liz Truss è un prodotto della generazione dei johnsoniani e continuerà a esserlo. Sicuramente verrà seguita la linea dell’implementazione delle conseguenze della Brexit. Quello che cambierà sarà il dover seguire le circostanze che si presentano.
In che senso?
Di fronte a una vampata inflattiva così straordinaria, che è peggiore di quella dell’Unione Europea, la linea sarà dettata da fattori obbligati. Ed è probabile che questi fattori obbligati costringano a prendere provvedimenti che normalmente Liz Truss non prenderebbe, come misure restrittive sul credito, di concerto con la Banca di Inghilterra.
Ci sarà, come lei stessa ha promesso, un taglio delle tasse?
In questo momento direi che sia un po’ troppo rischioso. Che la Truss abbia questa intenzione da brava liberal conservatrice neo-thatcheriana non ho dubbi; che sia il momento di farlo nutro invece qualche perplessità. In una situazione come questa vedo più facile adottare politiche restrittive. La campagna elettorale tra i due candidati alla leadership del Partito conservatore ha risentito molto di questa situazione. Entrambi non si sono particolarmente esposti, si sono trincerati dietro l’idea che un governo ci fosse, come preoccupazione principale, e si siano un po’ nascosti. Ritengo abbiano fatto bene. I provvedimenti concreti dipenderanno dall’andamento delle circostanze che per il Regno Unito sono certamente anche di natura internazionale, e non solo interna.
Questo quadro quanto è dettato dalle conseguenze della Brexit?
Molti economisti ritengono che la situazione attuale rispecchi i primi aspetti reali della Brexit, non perché la sterlina fosse nell’euro, ma perché comunque, stando legati al carro europeo, avevano dei margini di protezione maggiori. Adesso questa protezione se la devono trovare da soli. Dopo un periodo di contrasto all’inflazione, solo a quel punto il nuovo primo ministro procederà secondo le proprie linee di indirizzo.
A pesare sulla crisi energetica c’è anche il sostegno all’Ucraina. Da qualche tempo sembra che la Gran Bretagna stia un po’ diminuendo questo impegno, è così?
Onestamente non vedo una discontinuità. La Truss è stata ministro degli Esteri di Boris Johnson e insieme hanno condiviso tutti gli indirizzi in politica estera, addirittura progettando un atteggiamento molto “muscolare” nei confronti non solo della Russia, ma anche della Cina. Naturalmente anche qui tutto è in evoluzione.
Stando ad alcuni media inglesi, diverse personalità del Partito conservatore rivorrebbero Johnson alla guida. Potrebbe candidarsi di nuovo, secondo lei?
La nostra pubblicistica su Johnson è molto irridente e rende difficile comprendere la realtà inglese. Per i conservatori Johnson è ancora una figura trainante e la maggioranza dei simpatizzanti del partito continuerebbe a preferirlo. Ma nel momento in cui ha dovuto dare le dimissioni è chiaro che si è palesato il bisogno di trovare un altro esponente. Ciò non toglie che, una volta finito questo nuovo ciclo che ipoteticamente potrebbe durare un paio di anni, perché nel dicembre 2024 ci saranno le prossime elezioni, nulla vieta che possa rientrare in gioco. Non lo auguro né ai Tory, né al Regno Unito, non per i difetti e le mancanze di Johnson, ma perché, se così fosse, vorrebbe dire che Liz Truss avrebbe fallito nel suo incarico.
(Paolo Vites)
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