Un team internazionale di ricercatori, guidato dal Karolinska Institutet in Svezia e dall’Istituto per la medicina molecolare in Finlandia, ha identificato una variante genetica che aumenta del 60% il rischio di sviluppare il long Covid – la sindrome che colpisce milioni di persone con sintomi persistenti anche a distanza di mesi dall’infezione da Sars-CoV-2 – e, pubblicato su Nature Genetics, lo studio ha esaminato i dati genetici di 6.450 pazienti affetti da long Covid e oltre un milione di soggetti sani, in un’analisi su scala globale condotta nell’ambito della Long Covid Host Genetics Initiative; in totale, sono stati coinvolti 24 studi distribuiti in 16 Paesi.
La variante scoperta si trova nei pressi del gene FOXP4, fondamentale nello sviluppo dell’apparato respiratorio e già coinvolto in diverse patologie polmonari croniche e la sua presenza è stata successivamente confermata anche in un campione indipendente di 9.500 casi, rafforzando la validità dell’associazione; i sintomi del long Covid – affaticamento costante, “nebbia mentale”, difficoltà respiratorie e dolori continui – possono durare mesi, a volte anni, condizionando profondamente la qualità della vita, fino ad oggi, però, le basi biologiche di questa condizione erano rimaste in gran parte misteriose e incerte.
I ricercatori ipotizzano che questa mutazione possa compromettere la funzione polmonare, rendendo più difficile il pieno recupero dall’infezione, un’ipotesi che apre nuove strade per lo sviluppo di terapie precise; anche se questa variante genetica spiega solo una parte dei casi, rappresenta un passo avanti importante verso la comprensione dei meccanismi che determinano lo sviluppo cronico dei sintomi.
Long Covid e FOXP4: il legame tra genetica e danni polmonari persistenti
La variante identificata nel long Covid modifica l’espressione del gene FOXP4, coinvolto nella formazione del tessuto polmonare e nella regolazione della risposta immunitaria delle vie aeree – un ruolo che lo rende decisamente importante nel contesto del long Covid – e Hugo Zeberg, docente al Karolinska Institutet e co-autore principale dello studio, ha spiegato che questa mutazione potrebbe rendere i polmoni più vulnerabili ai danni infiammatori causati dal virus e, di conseguenza, la guarigione post-infezione risulterebbe più lenta e incompleta.
Zeberg ha osservato che la funzione polmonare debilitata è uno degli aspetti centrali nello sviluppo del long Covid, pur chiarendo che la variante non rappresenta un destino biologico irreversibile, ma piuttosto uno dei tanti fattori che concorrono all’emergere della malattia; Hanna Ollila, ricercatrice presso l’Università di Helsinki e affiliata al Massachusetts General Hospital, ha ribadito l’importanza degli studi genetici per patologie dai meccanismi ancora poco chiari e grazie all’analisi del DNA è possibile individuare fattori di rischio altrimenti invisibili.
La mutazione è stata individuata nella regione cromosomica 6p21.32, già collegata ad altre malattie respiratorie croniche (un fattore che suggerisce la possibile sovrapposizione di meccanismi biologici tra diverse patologie) e anche se la scoperta potrebbe anticipare lo sviluppo di test previsionali o strategie terapeutiche personalizzate, i ricercatori invitano alla prudenza, in quanto sarà necessario chiarire l’interazione della genetica con altri elementi utili, come età, sesso e presenza di patologie pregresse; nel frattempo, la comunità scientifica si orienta verso soluzioni che proteggano la salute polmonare durante e dopo l’infezione.