Il buon ladrone fu il primo a sperimentare sulla sua stessa vita che siamo fatti per stare con quell’uomo, Cristo, che perdonava tutto e tutti
Nella Chiesa di tradizione-siro orientale è conservato un antico Dialogo tra il Cherubino e il Buon Ladrone in cui si legge di come lo zelante angelo simbolicamente posto a custodia del Paradiso si rifiuti di far entrare il Ladrone perdonato da Gesù. Ne nasce un diverbio acceso, ma alla fine il Ladrone persuade l’angelo guardiano che, commosso, libera il passaggio: nella Passione e Risurrezione di Cristo è stata riaperta all’uomo la via di una nuova e più grande familiarità col Mistero di Dio.
Anche per questo il buon ladrone è ricordato in Oriente come il “ladrone teologo”, colui che veramente e per primo ha scoperto sulla sua pelle, ha fatto esperienza, di come tutto con la Pasqua di Cristo sia cambiato nella sua vita come nella grande storia.
Così quello che per noi è il “Lunedì dell’angelo”, rimane in alcune tradizioni orientali il “Lunedì del buon ladrone”, perché proprio guardando all’esperienza del ladrone buono abbiamo come la possibilità di “fare il test” dell’effettività, della realtà efficace, della Risurrezione di Cristo nelle nostre vite.
Quello che negli ultimi suoi istanti il ladrone vive sulla croce manifesta, infatti, tutta la portata che ha per la vita l’incontrare Cristo vivo: così che quando anche noi ci troviamo a vivere l’esperienza del ladrone possiamo riconoscere che veramente Cristo è risorto, che egli rimane a noi contemporaneo nella storia.
Il ladrone, che ne aveva fatte di tutti i colori, proprio nel momento dell’impotenza estrema, nel momento in cui gli passavano davanti agli occhi i brandelli sparsi della sua vita “incasinata”, proprio dal di dentro dello smarrimento e del nudo bisogno, in quell’ora estrema e finale del suo morire si accorge: si accorge che proprio in quel momento accanto a lui, su una croce come la sua, c’è uno il cui sguardo, le cui parole, il cui modo di patire, lui non si era mai nemmeno immaginati possibili.
Non è che egli comprendesse la portata abissale del dolore di quel compagno di croce, di Gesù che nel suo voler abbracciare tutto dell’uomo accetta di patire nelle sue viscere anche la nostra desolazione e lo sconforto supremo: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Mc 15,34). Il ladrone, pur non capendo tutto, si accorge tuttavia della cosa decisiva e, proprio così, egli comprende l’unica cosa davvero essenziale: vede uno che soffre come lui ma vede anche che quello sconforto estremo in Gesù non culmina in una disperazione.
Nello sconforto di Gesù travolto dal male dell’uomo, il ladrone è come se si accorgesse di qualcosa che il male, gli insulti e le derisioni non scalfiscono: in quell’uomo condannato ingiustamente vive un’ultima inscalfibile certezza circa l’origine buona e il destino di bene di ogni cosa.
Proprio nell’ora in cui il male e la violenza dell’uomo sembrano bruscamente spezzare la missione di Gesù; proprio nel momento in cui il male dell’uomo sembra avere l’ultima parola sulla storia, proprio allora, nella persona di Cristo, nel cuore di Cristo, si manifesta la forza di un fatto più grande anche del male del mondo.
Il ladrone si accorge che c’è qualcosa di più tenace della violenza dell’uomo: è il rapporto che quel galileo vive con il Mistero, secondo una familiarità che è vera figliolanza e per la quale, anche nell’ora estrema, egli continua a chiamarlo Padre. È dalla profondità di questo rapporto del Figlio col Padre che si manifesta come una potenza di misericordia e perdono che il ladrone non aveva mai visto, l’unica vera forza che mai abbia scosso la storia: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Gesù non recrimina nulla, non maledice nessuno, non protesta niente, non recrimina nulla e perdona tutto: questo è il vero volto di Dio che si rende visibile nella Pasqua di Cristo. Egli non inchioda gli uomini ai loro peccati come loro hanno inchiodato lui, ma ancora tutti nei loro peccati egli li investe di una tenerezza fuori misura, smisurata, li riveste di misericordia infinita. Ed è in questo condividere fino in fondo col Padre la passione assoluta per il destino buono degli uomini che Gesù così vive la libertà suprema: “Nelle Tue mani, Padre, consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
Così il “furfante teologo”, vedendo i suoi opposti compagni di croce – da una parte il ladrone che maledice Dio e il giorno in cui è nato, dall’altra Gesù, che appeso a quel legno perdona e ama perfino – si commuove, si accorge cioè di tutta l’ampiezza sconfinata del suo desiderio. Sul limite estremo della vita, egli intuisce la portata vera del suo proprio bisogno, di ciò che più o meno consapevolmente ha come cercato e bramato in tutta quella sua vita “incasinata”.
Non è che il ladrone diventa “bravo” di colpo, è il solito ladrone, eppure non è più lo stesso, perché per la prima volta si trova a prendere sul serio quella fame e sete di bene alla radice di sé, perché quell’uomo lì, Gesù, in quell’ultimo istante della sua vita di ladro introduce qualcosa, con quel suo modo di perdonare e morire, che finalmente è all’altezza del suo bisogno come della sua fragilità.
Scopriamo allora, proprio guardando al Ladrone, che “la moralità – come afferma don Giussani – è riconoscimento amoroso di una presenza connessa al destino […] il buon ladrone quel filo di simpatia, che ha espresso verso Gesù sulla croce, doveva averlo dentro verso il bene, verso qualcosa che aspettava mentre ammazzava durante la vita, capite? E quel filo valeva di più di quanto non lo condannassero i suoi assassini” (Luigi Giussani, L’attrattiva Gesù, 66-67).
Così, sul crinale ultimo della sua esistenza, prima che gli spezzino le gambe per accelerarne la morte, il ladrone con la voce che gli rimane si rivolge a Gesù: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). E Gesù risponde in modo definitivo, senza misurare nulla: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23,43).
Il regno di Dio è Lui stesso, è Cristo, e il paradiso è stare con Lui. “Era un assassino! – commenta don Giussani –. Soltanto che, in un certo momento, si è accorto di una Presenza diversa con la quale non moriva più, di fronte alla quale emergeva l’estrema espressione della sincerità e dell’umiltà: ‘Io sono niente, ricordati di me nel Tuo regno’. L’altro assassino [l’altro ladrone] doveva gridare, arrabbiarsi e bestemmiare per non lasciarsi risucchiare dall’onda semplice della evidente diversità” (L. Giussani, Spirto Gentil, 536).
Incontrare oggi questa “evidente diversità” è ciò che ci rende certi di come la morte non abbia potuto trattenere la vita di Cristo, che veramente egli è risorto. Non importa quanto siamo ladroni, importa poter incontrare nella vita questo sguardo davanti al quale tutta la nostra libertà è commossa a poter riconoscere che siamo fatti bene per il bene e davanti al quale una cosa sola diviene decisiva: “Fammi essere con te”, “Voglio stare con te”, “Ricordati di me”.
Perché l’unico regno di Dio, l’unico paradiso che può realmente interessarci è quello che già tocca il presente della vita, quello che inizia quando intercettiamo – foss’anche nell’ultimo estremo lembo della nostra esistenza – una presenza davanti alla quale il nostro bisogno e la nostra impotenza estrema non sono più obiezione, rivelandosi, piuttosto, la risorsa decisiva che ci permette di intercettare chi solo ha uno sguardo, delle parole e dei gesti all’altezza della reale e drammatica ampiezza del nostro umano.
E allora uno diventa paradossalmente grato, come il ladrone, anche della propria nuda impotenza, che davanti al volto di Gesù si rivela per quello che è sempre stata: bisogno di Lui, della sua presenza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.