Margaret Qualley e Andie MacDowell sono figlia e madre nella realtà ma anche nella finzione. In Maid, la serie Netflix che ha già raccolto un significativo successo di pubblico, Margaret veste i panni della protagonista Alex, giovane madre di Maddy, una bimba di tre anni, che vive una vita di stenti e che per cercare la sua indipendenza fa la cameriera a ore, peraltro con scrupolo e professionalità.
La MacDowell (Quattro matrimoni e un funerale e volto storico della L’Oreal) è invece Paula, la mamma di Alex, una pittrice eccentrica che vive come una hippie. Due donne molto diverse ma entrambe assai reali, nuove icone di una bellezza dal volto umano e naturale.
Maid è una storia di moderna povertà. Alex conta ogni giorno come dividere i pochi dollari che ha in tasca. Le poche ore che una piccola agenzia di pulizie le assegna, la portano in case di ricche famiglie con panorami mozzafiato sulle insenature tra Seattle e la baia di Vancouver. Ma a volte gli toccano anche case occupate da senzatetto e ridotte in condizioni igieniche oltre ogni limite. Lei pulisce, mette in ordine, trova il giusto posto alle cose. L’agenzia le mette a disposizione un aspirapolvere Dyson e niente più, il resto, la benzina, i detersivi e le attrezzature, è tutto a suo carico. Un lavoro durissimo e sottopagato.
Alex abbandona Sean, il suo ragazzo e padre di Maddy, dopo l’ennesima reazione violenta, di ritorno nella notte ubriaco. È praticamente una homeless. Trova posto in una casa accoglienza per donne vittime di violenze familiari. Ma deve lottare contro l’intero sistema burocratico che gestisce i sostegni economici alle ragazze come lei. Senza un lavoro non può avere una casa, senza una casa non può avere un posto all’asilo per la figlia, senza asilo per la bambina non può lavorare.
Alex affronta la sua difficile vita con una serenità che lascia sconcertati. La storia di miseria e soprusi sembra non riguardarla. In realtà Alex fa di tutto per uscirne, ha studiato e vorrebbe lavorare sulle sue qualità di scrittrice e il suo sogno segreto è di ottenere una borsa di studio per il college. Mentre prende coscienza della sua situazione riaffiorano i ricordi di quando anche la madre ha dovuto subire lo stesso trattamento dal marito, un uomo solo apparentemente normale, che lei continua a respingere come padre e come nonno.
Non è una storia di violenza, ma è, se possibile, ancora peggio. Perché la violenza di cui si parla è quella che si manifesta attraverso quella sottile atmosfera di normalità che tende a colpevolizzare Alex di ogni cosa, a ridurre a zero la sua volontà di indipendenza. Ridurla alla subalternità. La povertà, nonostante tutti i tentativi di organizzare la propria esistenza, le impedisce qualsiasi piccolo progetto. La sua disponibilità e la sua delicatezza sono ricambiate dalla durezza e dal disprezzo di tutti coloro che la circondano.
Maid è una storia triste e di incomprensione. Ma anche di resistenza e di riscatto. È una storia al femminile, in cui possono riconoscersi molte donne. Forse la ragione principale del suo successo. È una storia che si fonda su pochi ma chiari principi, ma è anche un racconto di quotidiana sofferenza, che scompare solo quando Alex fa la mamma, nei pochi struggenti momenti in cui resta sola con la piccola figlia. È una storia dove la solidarietà – anche quella tra donne – si manifesta raramente, come nel caso della signora che gestisce la casa-rifugio, o quando la ricca cliente Regina rivela la sua umanità.
Se non fosse oggi un termine così abusato, si dovrebbe definire Maid la serie tv sulla resilienza femminile. Un’indistruttibile voglia di difendere i propri diritti, un’inconfondibile dolcezza nel prendere la vita nei suoi pochi momenti accettabili e farli diventare essenziali. Una lezione di vita, un duro richiamo alla realtà per chi ha avuto fortuna e non conosce le ristrettezze di chi non ha lavoro e non può contare sui veri affetti.
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