Marty Makary, commissario della Food and Drug Administration e chirurgo di fama mondiale, ha riaperto la polemica sulle origini del Covid affermando come alcuni scienziati avrebbero manomesso la natura con tecnologie americane; in un’intervista a Fox News, Makary – docente alla Johns Hopkins University e editorialista del Wall Street Journal – ha puntato il dito contro il laboratorio di Wuhan, affermando che “quell’incubo di tre anni è frutto di un esperimento sfuggito al controllo” frase che ha immediatamente polarizzato l’opinione pubblica e politica e riportato in prima pagina ipotesi mai del tutto sopite.
La sua uscita trova oggi eco nel nuovo sito web istituzionale lanciato dalla Casa Bianca, dove si legge che il virus “possiede caratteristiche biologiche non riscontrabili in natura”, una presa di posizione che segna un cambio di passo clamoroso rispetto alla prudenza diplomatica mantenuta nei primi anni della comparsa del Covid e che – inevitabilmente – riapre questioni controverse tra cui sette milioni di morti, economie devastate, società sconvolte dalla paura.
Il rapporto della CIA pubblicato a gennaio 2025, che indicava una “fuga di laboratorio probabile ma con bassa confidenza” viene oggi citato come una prova definitiva mentre la comunità internazionale resta profondamente divisa: l’Organizzazione Mondiale della Sanità continua a mantenere “tutte le ipotesi aperte” mentre oltre 1.200 virologi firmatari di uno studio pubblicato su Nature ribadiscono la plausibilità del salto di specie avvenuto nel mercato di Huanan.
Makary, però, non arretra, sostenendo che “se fosse naturale, le prove esisterebbero già” una dichiarazione forte, che molti ritengono arbitraria, specie alla luce dei dati emersi dal Progetto EcoHealth Alliance, secondo cui tra il 2015 e il 2019 furono raccolti circa 12.000 campioni di coronavirus simili al SARS-CoV-2 da pipistrelli provenienti dallo Yunnan, a oltre 1.600 chilometri da Wuhan.
Makary e la Cina nel mirino: quando la scienza diventa campo di battaglia
La battaglia di Marty Makary non rappresenta però un caso isolato: il portale governativo Covid.gov (un tempo dedicato a fornire informazioni sui vaccini) oggi reindirizza a una piattaforma che accusa esplicitamente Pechino di “ostruzione” e – ancor più clamorosamente – cita Anthony Fauci come parte di un presunto insabbiamento, accostando la sua figura a quella dei finanziatori della ricerca genetica in Cina, si tratta dunque di una narrativa che da un lato trova sponda in ambienti conservatori statunitensi, dall’altro da vita a teorie cospirative già ampiamente diffuse sui social.
Da considerare anche la polarizzazione politica: se i repubblicani cavalcano la tesi della fuga da laboratorio per screditare le restrizioni imposte durante il Covid e colpire simbolicamente l’establishment scientifico, i democratici tendono a minimizzarla per difendere la gestione emergenziale del 2020–2022 e in mezzo a tutto ciò si agita anche la questione scientifica irrisolta della “gain of function research”, cioè la sperimentazione su agenti patogeni modificati in laboratorio per amplificarne la trasmissibilità o il livello di letalità.
Per molti scienziati – però – questa caccia alle responsabilità rischia di distogliere l’attenzione dalle vere lezioni del Covid come l’assenza di sistemi sanitari pubblici realmente resilienti, l’enorme ritardo nella distribuzione dei vaccini nei Paesi del Sud globale e il fallimento – finora – del Trattato OMS sulle pandemie, ancora bloccato da interessi geopolitici.