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Home » Lavoro » MANOVRA & SALARI/ La “nazionalizzazione” della retribuzione favorita dalle parti sociali

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MANOVRA & SALARI/ La “nazionalizzazione” della retribuzione favorita dalle parti sociali

Giuliano Cazzola
Pubblicato 21 Ottobre 2025
Sciopero Fiom-Cgil su tangenziale Bologna

Metalmeccanici Fiom-Cgil bloccano la tangenziale di Bologna per lo sciopero (ANSA 2025, Uff. Stampa CGIL)

Con la manovra sembra che le parti sociali rinuncino al ruolo naturale di autorità salariali per affidarsi al soccorso della legislazione

Esiste in Italia una “questione salariale”, ma, come tanti altri problemi, non viene affrontata per essere risolta, ma per entrare a far parte della polemica politica. Succede così che l’approccio al problema somiglia sempre più a una danza della pioggia inscenata da una tribù primitiva per combattere la siccità. E l’aspetto più singolare è che a urlare più forte verso il cielo ostile sono proprio coloro che avrebbero il compito di provvedere.


SPILLO/ E Trump bocciò anche l'Europa "cinese" di Prodi


Stando ai dati della Banca d’Italia, le retribuzioni contrattuali sono salite nel nostro Paese, ma in termini reali restano inferiori ai valori del secondo trimestre del 2021. Una situazione diversa da quella dell’Eurozona, dove sono superiori a quel livello. Importante, rileva palazzo Koch, sarà il risultato delle trattative in corso per il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici, scaduto a giugno 2024, e che riguarda quasi l’80% dei lavoratori in attesa di rinnovo nel settore privato non agricolo.


SCENARIO 2026, COME STARÀ L'ITALIA?/ Le nuove carte da giocare per uscire dalla stagnazione


Le trattative . dopo un lungo blocco – proseguono; ma sarebbe il caso di chiedersi chi porta la responsabilità . non certo il Governo – di una piattaforma rivendicativa “fuori mercato”. Sui social è circolata – prodotta con l’intelligenza artificiale – una boutade, nella quale è rappresentata una “flotilla” di metalmeccanici che veleggia verso Gaza con la speranza che la Cgil si occupi del loro negoziato.

Nei giorni scorsi, anche il presidente della Repubblica, solitamente misurato, ha esternato a proposito delle inadeguate retribuzioni dei dipendenti rispetto a quelle dei manager o degli azionisti, facendosi poi tentare dalla polemica sui contratti pirata, nonostante sia accertata da tempo la pressoché insignificante presenza di questa tipologia negoziale in dumping rispetto alla copertura assicurata dalla contrattazione collettiva dei sindacati confederali storici.


Riforma pensioni 2025/ Le rivendicazioni in casa Cgil (ultime notizie 7 dicembre)


Nel frattempo si è in attesa dei decreti legislativi collegati alla legge delega sul salario minimo approvata il mese scorso dal Parlamento, che dovranno: assicurare trattamenti retributivi giusti ed equi; contrastare il lavoro sottopagato, in relazione a specifici modelli organizzativi del lavoro e a specifiche categorie di lavoratori; stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro; contrastare i fenomeni di concorrenza sleale.

lavoro
Foto di Jörg Möller da Pixabay

Sappiamo che la definizione di “contratti di lavoro maggiormente applicati” contenuta nel ddl delega rischia di essere incompatibile con l’obiettivo di contrastare i fenomeni di dumping; sarà quindi curioso valutare come il Governo sarà in grado di uscire dalla trappola che ha costruito con le proprie mani, superando il criterio della “maggiore rappresentatività comparata” che è finora rimasto al centro delle relazioni industriali. Sarà altrettanto curioso vedere con quali azioni si intende stimolare il rinnovo dei contratti collettivi. Forse una risposta a questa domanda è contenuta nella Legge di bilancio 2026.

Nella manovra vi è infatti una tassazione agevolata del 5%, per i redditi fino a 28.000 euro annui, per gli aumenti salariali previsti nei rinnovi contrattuali, compresi quelli siglati quest’anno. La norma è stata salutata con favore persino dalla Cgil, ma occorre fare molta attenzione ai suoi effetti.

Si tratta di un intervento una tantum per affrontare una situazione critica circoscritta per recuperare le perdite di potere d’acquisto determinate dal picco dell’inflazione e per favorire una conclusione più sollecita dei rinnovi contrattuali? Se questi fossero gli obiettivi ci sarebbe una spiegazione, ma resterebbe il pericolo di una disposizione siffatta che, in pratica, estende la flat tax incrementale al lavoro dipendente e alla lunga demolisce la progressività dell’imposta, creando regimi fiscali diversi tra i percettori dello stesso reddito.

Ma ci sono altri problemi che si presentano da subito: quali sono i contratti a cui viene riconosciuto il beneficio? In ogni categoria ce ne sono diversi sia per dimensione di impresa, sia per i settori incorporati. E chi sono i soggetti stipulanti che abilitano l’operazione? Infine, perché ci si limita ai contratti stipulati nel 2025 e a quelli che lo saranno nel 2026 quando il problema dell’adeguamento al costo della vita è risultato più critico in momenti precedenti per via degli andamenti dell’inflazione?

Nella manovra, per favorire la contrattazione decentrata, è prevista anche la riduzione dell’aliquota sui premi di produttività (fino a 5.000 euro) dal 5% all’1%. Inoltre, c’è la detassazione (fino a 1.500 euro annui) per straordinari, indennità per lavoro notturno e festivo per i lavoratori con reddito fino a 40.000 euro annui, sempre che questi voci non sostituiscano in tutto o in parte la retribuzione ordinaria. Infine, la soglia esentasse per i buoni pasto elettronici viene portata da 8 a 10 euro.

Queste norme si aggiungono a quanto già previsto in materia di decontribuzione dalle leggi precedenti. Prosegue, dunque, quella politica che potrebbe essere definita la “nazionalizzazione” della retribuzione, nel senso che le parti sociali rinunciano al ruolo naturale di autorità salariali per affidarsi al soccorso della legislazione con notevoli ricadute sul bilancio dello Stato.

Ormai la legislazione fiscale ha definito un quadro essenziale per orientare la contrattazione collettiva a livello decentrato con l’obiettivo di incrementare la produttività. Se poi si aggiungono le numerose ed estese esperienze di welfare aziendale, occorrerebbe superare quella narrazione sfascista che descrive, al solo fine di lotta politica, la condizione generale dei lavoratori sottoposta a una spietata spoliazione dei diritti.

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Tags: Governo MeloniInflazione

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