Una donna ormai anziana, il viso deturpato dalla malattia, giace su un letto. “Sto per morire, potresti mandare un sms a Leonard e dirglielo?”, dice a un amico. Passano due ore e arriva una risposta: “Carissima Marianne, sono abbastanza vicino da prenderti la mano… Fai buon viaggio amica mia. Ci vediamo in fondo alla strada”. E’ molto bella, dice la donna. Muore due giorni dopo, il 28 luglio 2016. Lui, Leonard muore pochi mesi dopo, il 7 novembre. Si sono presi per mano, adesso. Lei si chiamava Marianne, Marianne Ihlen. Lui di cognome faceva Cohen.
Tutti noi, chi più chi meno, chi consapevolmente chi inconsapevolmente, abbiamo “un piccolo grande amore” rimasto nelle pieghe del tempo e nel profondo del cuore. Anche quelli che hanno una vita sentimentale, anche matrimoniale, lunga e serena. C’è un istante nella vita, piccolo e abbagliante, in cui siamo toccati da un momento di amore perfetto. Succede, ma non solo, quando siamo ragazzi, giovani o nella fase di passaggio dall’adolescenza alla maturità, quando l’amore ci investe oltre la capacità di intendere e subito dopo ce ne dimentichiamo, perché la vita ci sta chiedendo di crescere, di scegliere, di muoverci senza sosta, ci incalza. Per i più fortunati quel momento coincide in un amore per tutta la vita. Per gli altri, quel momento rimarrà lì, nascosto, e magari venti, trenta, quarant’anni dopo tornerà a galla. In un pensiero, davanti a un tramonto, o nel momento di un lutto. Che cosa sarebbe stata la mia vita se… Ma non importa.
Perché l’amore è imperfetto, l’amore non esaurisce il desiderio di un amore ancora più grande, immenso e appagante. L’amore, anche, direbbe Bob Dylan, “è solo una parolaccia”. L’amore è un richiamo, direbbe invece Shakespeare: “Mostrami una amante che sia pur bellissima, che altro è la sua bellezza, se non un consiglio, ove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella?”. Sembra ingannare l’uomo, narciso per condizione di nascita. Per Leonard Cohen, il poeta che ha scandagliato l’amore in ogni sua possibile umana configurazione, fino a identificarlo con il volto di un Dio che si nasconde dietro l’amante, l’amore è stata una lotta impari e immane, devastante di cui ha pagato il prezzo.
Nel settembre del 1960, Leonard Cohen acquista una casa non lontano dalla costa del Peloponneso, sull’isola greca di Hydra, che fra gli anni ’50 e gli anni ’60 diventa un rifugio di artisti, raccogliendo una comunità bohémienne di scrittori, pittori, musicisti uniti da uno spirito libero e libertario. All’epoca, Cohen ha da poco compiuto 26 anni e aveva già scritto Let us compare mythologies e The Spice-Box of Earth. A Hydra, il poeta canadese cerca la pace che gli occorreva per scrivere. In questa isola, incontra Marianne e con quella scena in un letto d’ospedale comincia il film “Marianne & Leonard, words of love”. Una relazione durata circa sette anni: i mesi con Marianne, dice lo stesso Leonard, si fanno sempre meno, da sei mesi all’anno a quattro, a due, poi due settimane, infine pochi giorni. Il suo amore è diventato la Musa. Se i romanzi e le poesie lo stavano facendo morire di fame, fame di cui si prendeva cura Marianne, le canzoni ne faranno una star. Come tutti i cantanti rock, il matrimonio è un ostacolo se la Musa ti assedia ogni giorno. E’ a lei che devi darti, non alla tua donna. I cantanti rock sono dei gran bastardi, ma avremmo potuto fare a meno delle loro canzoni? Anche i poeti lo sono. Dice l’amica di Marianne e Leonard, Aviva Layton: “I poeti non sono grandi mariti. Non puoi averli tutti per te. Sono creature elusive, sposate con le loro muse” (“Well, you know that I love to live with you But you make me forget so very much I forget to pray for the angels And then the angels forget to pray for us Now so long, Marianne”).
Il regista, Nick Broomfield, già noto al grande pubblico per un criticato Kurt and Courtney, si mette fin troppo in mostra, facendoci sapere che anche lui ha avuto una storia con Marianne: e chi se ne frega? Va però a recuperare le fantastiche immagini di un documentario del 1974 andato perduto, opera di Tony Palmet, “Bird on the Wire”, immagini del periodo più cupo del Cohen cantautore, che si reggeva solo a Xanax e addirittura va a cantare per le truppe israeliane in guerra con i palestinesi. Le immagini vanno e vengono caotiche, fuori del suo camerino la fila di belle donne è sempre lunga, ma non è come hanno scritto in molti “un ossessionato dal sesso”. E’ un uomo profondamente ferito, il cui cuore non trova mai pace. Così come altri spezzoni di film girati da D.A. Pennebaker, il regista che per primo dedicò a Bob Dylan un documentario. Gli spezzoni girati nell’isola greca, tra mare dorato e cielo splendente, sono bellissimi. Poi arriva il male, inevitabile, come ricorda Marianne: “Avrei voluto metterlo in una gabbia e ingoiare la chiave. Mi ha fatto tanto male, mi ha distrutta. Sono stata sul punto di uccidermi”.
Esiste, in fondo al cuore, quella luce di amore che nell’istante dell’amore perfetto abbiamo percepito e poi dimenticato, tanto da riapparire negli ultimi istanti della vita: “Leonard mi apparve sulla soglia di un negozio con il sole alle spalle — ricorda lei —. Vedevo solo la sua silhouette. Poi i miei occhi incontrarono i suoi. L’ho sentito attraverso tutto il mio corpo”.
“E allora, Marianne, è arrivato questo tempo in cui siamo entrambi molto vecchi e i nostri corpi cadono a pezzi. Penso che ti seguirò molto presto. Sai che ti sono così vicino che se allungassi la mano, potresti toccare la mia. E sai che ti ho sempre amata per la tua bellezza e la tua saggezza. Ma non c’è bisogno che ti dica più nulla di tutto questo perché sai già tutto”. L’istante dell’amore perfetto non è andato perduto. Si è compiuto.
Cohen muore pochi mesi dopo, come se la sua vita su questa terra fosse stata senza senso senza di lei. La donna dell’istante perfetto è sempre stata presente, anche se lontana. Adesso l’ha capito anche lui. Non c’è malinconia o tristezza, perché quell’istante perfetto va oltre la carnalità del quotidiano. Sussiste in noi e malgrado noi. Dice Cohen: “È questo l’amore. E riconosci la piena uguaglianza di quello scambio, perché se è più piccola di te non può completarti. E se tu sei più grande di lei, non puoi completarla. Quindi, va capito che esiste davvero un’assoluta equità di potere. Diversi tipi di potere, ovviamente, diversi tipi di magia. Diversi tipi di forza, diversi tipi di movimento, diversi come il giorno e la notte. E sono il giorno e la notte. Sono luna e sole. Sono terra e mare. Sono più e meno, sono paradiso e inferno. Sono tutte queste antinomie, ma sono uguali”.
Quell’amore ci aspetta nel suo reale compimento di là, nell’oltre-qua. Nell’eterno infinito, dove ogni crepa, ogni ferità sarà sistemata. E l’Amore con la A maiuscola spalancherà ogni ferita. E sarà vero.
Marianne & Leonard – Parole d’amore, il documentario di Nick Broomfield del 2019 in sala in Italia come proiezione speciale solo oggi 3 e domani 4 marzo. Troppo poco, per capire le “parole d’amore”.