E’ morta nella giornata di ieri Marida Lombardo Pijola, nota giornalista e scrittrice che denunciò e poi raccontò la sua adolescenza violata. Aveva solo 65 anni ed ha lavorato per quasi tutta la sua carriera come “penna” presso Il Messaggero, come inviata speciale. Recentemente era divenuta editorialista del Corriere edizione Roma, e l’ultimo articolo era stato scritto solamente pochi giorni fa, in difesa dei bambini di Castro Pretorio a cui erano state rubate le giostre locali. “Un episodio minimo – commenta lo stesso quotidiano di via Solferino – si potrà dire, ma erano questi per lei, e lo sono per noi, i fatti che meglio di mille editoriali raccontano le disparità del nostro mondo”.
A Marida Lombardo Pijola, morta dopo una lunga malattia, le disparità e i soprusi proprio non andavano giù e di conseguenza le “veniva naturale proteggere i più deboli, animata com’era da un calore umano forte, assistito da un’enorme capacità professionale”. Originaria di Bari, dove aveva iniziato la sua carriera da giornalista, si era trasferito in giovane età a Roma lavorando prima per la Gazzetta del Mezzogiorno e poi restando quasi trent’anni al Messaggero, divenendone una firma di punta e coprendo la cronaca giudiziaria italiana, come la morte di Falcone e Borsellino, e le violenze sui minori attraverso una grande inchiesta nelle discoteche e nelle scuole della capitale.
MARIDA LOMBARDO PIJOLA È MORTA: I SUOI GRANDI SUCCESSI NELLE LIBRERIE
bestseller editoriale «Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano Principessa» (Bompiani), che nel 2007 ottenne ben 17 diverse edizioni, e a cui seguirono altri libri come un saggio sull’adolescenza e due romanzi toccanti: «L’età indecente» (2009) e «L’imperfezione delle madri» (La nave di Teseo). “Il nostro primo incontro, davanti all’ingresso del Messaggero, in via del Tritone, avvenne nel maggio dell’86 – ricorda Giuseppe Di Piazza, giornalista del Corriere – e più che un incontro fu uno scontro: le caddero sul marciapiede dei fogli che aveva in mano, per raccoglierli si chinò senza guardare e, rialzandosi, mi venne addosso”.“Scoppiò in una risata – ha proseguito – era bella, alta e con grandissimi occhi colore del mare. Risi anch’io senza ancora capire che quell’urto mi stava donando una delle amicizie più lunghe e pure che abbia mai avuto. Erano i nostri primi giorni di lavoro in quel giornale, e furono anche l’inizio di una vita complice e divertente, per lei, purtroppo, adesso finita. Mi resta il dolore per la perdita e l’affetto che, insieme a centinaia di amici, conserveremo per sempre per suo marito, il chirurgo Carlo Vitelli, e per i sue tre meravigliosi figli, Alessandro, Andrea e Luca. Il giornalismo e la scrittura dovranno fare a meno di un talento grande; io di una sorella”.