La sentenza choc che ha colpito Marine Le Pen, con una condanna per appropriazione indebita di fondi del Parlamento europeo e la conseguente interdizione dalla candidatura per cinque anni, ha scatenato un’ondata di reazioni furiose e divise in tutta Europa, e quello che dovrebbe essere un normale procedimento giudiziario si è trasformato nell’ennesimo capitolo di un copione già scritto: un leader populista sotto accusa, un verdetto discusso, una conseguente tempesta politica che scuote le fondamenta della democrazia occidentale.
A sollevare le critiche più aspre e stroncanti non è solo il partito di Le Pen, il Rassemblement National, ma anche una schiera di figure di spicco della destra internazionale, a partire da Donald Trump fino a Viktor Orbán, passando per Matteo Salvini e Geert Wilders: “Quando la sinistra non può vincere al voto democratico, abusa del sistema legale per incarcerare i loro rivali. Questa è la sua strategia standard in tutto il mondo”, ha dichiarato in modo netto e deciso, senza mezzi termini, Elon Musk, sintetizzando il sospetto che la giustizia non sia più un organo neutrale, ma un’arma di regolamento di conti.
Lo stesso Trump, protagonista di una battaglia legale senza precedenti negli Stati Uniti, ha definito la condanna di Le Pen “un grosso problema”, sottolineando con inquietudine le analogie con la sua personale situazione giudiziaria, con il Dipartimento di Stato americano che, pur mantenendo una posizione ufficialmente distaccata, ha riconosciuto che “l’esclusione di individui dal processo politico è particolarmente preoccupante”. La posta in gioco non è solo il destino di un leader, ma il principio stesso di una democrazia realmente libera, dove il potere giudiziario non diventa un surrogato del verdetto elettorale, uno strumento di ripicca e vendetta per annientare gli oppositori.
Marine Le Pen colpevole: la giustizia come strumento di lotta politica?
Il caso di Marine Le Pen si inserisce in un panorama più ampio e complesso, in cui l’uso della magistratura per fermare gli avversari politici sembra diventare un fenomeno sempre più diffuso, con tanti esempi che certificano questa preoccupante tendenza: Jair Bolsonaro in Brasile, Imran Khan in Pakistan, Matteo Salvini in Italia, Călin Georgescu in Romania, e ovviamente Donald Trump negli Stati Uniti; tutti leader che sfidano l’establishment, spesso scomodi per il sistema consolidato, che finiscono nel mirino della magistratura proprio nel momento in cui le loro prospettive elettorali sembrano più promettenti.
La condanna di Le Pen, oltre a impedirle la corsa all’Eliseo del 2027, facendo sfumare il sogno di un possibile approdo al potere, rappresenta un colpo durissimo alla credibilità delle istituzioni francesi: quale futuro per la destra europea se i suoi leader vengono sistematicamente eliminati dal gioco politico non attraverso le urne, ma con sentenze? In un contesto in cui il consenso dei cittadini non sembra più sufficiente a garantire la legittimità di un politico, il rischio è che la fiducia nell’intero sistema democratico si sgretoli irrimediabilmente.
La sinistra, incapace di proporre un’alternativa concreta che convinca realmente gli elettori, sembra aver scelto una strategia meno democratica e più brutale: la delegittimazione giudiziaria dell’avversario, e mentre Le Pen, così come Donald Trump, si appresta a preparare un ricorso che potrebbe ribaltare le sorti del suo destino politico, resta aperta una domanda cruciale: chi decide davvero il futuro politico di una nazione, il popolo o i tribunali?