Mario Mantovani, ex vicepresidente della regione Lombardia, è stato raggiunto stamane dalle telecamere di Mattino5, su Canale 5, e nell’occasione ha parlato della sua piena assoluzione e dei suoi sette anni di calvario vissuti dopo le accuse infamanti di corruzione: “Grazie che mi date questa opportunità – le parole di Mantovani in diretta televisiva – posso dire che sono tornato da una guerra. La vita per sette anni è stata una guerra, guerra della vergogna e del disonore, diventi un essere sociale ai margini della società. Ti chiudono i conti in banca, ti ritirano le carte di credito, ti considerano un pregiudicato al terzo grado di giudizio, non è un paese civile. Ho scritto al presidente Mattarella – ha proseguito Mantovani – e chiedo nuovamente di essere incontrato. Non auguro a nessuno di vivere un’esperienza così dolorosa”.
Mantovani ha ricordato il giorno dell’arresto: “Erano le 6 di mattino, come i criminali comuni, con le manette. Ricordo le lacrime dei miei figli, lo strazio, i giornalisti fuori dalla porta. 50 persone in Italia a cercare qualche straccio di documento che potesse reggere giustizia all’operato del pm, una vergogna, una spesa di stato incredibile; è una violazione dell’art 111 della costituzione, gli indagati vanno informati riservatamente e non con i giornalisti. Il giornalista – ha continuato Mantovani – era un testimone del pm durante il processo: mi dica lei se uno può essere sereno e vivere in un paese così”.
MARIO MANTOVANI A MATTINO 5: “HO FATTO 42 GIORNI DI CARCERE E 141 AI DOMICILIARI”
Quindi Mario Mantovani ha proseguito: “Il pensiero in questi anni è andato ai figli, ai nipoti… il nonno che è in galera e tutto questo da innocente. e se penso che tre innocenti al giorno vanno in carcere, io chiedo se siamo un paese civile. come può accadere?”. Sul carcere: “Io ho fatto 42 giorni nel carcere di San Vittore, in cella con gli assassini e poi non bastavano, 141 giorni agli arresti domiciliari, chiuso in casa senza poter incontrare nessuno, con i controlli di notte dei carabinieri”.
“In carcere mi sentivo quasi un privilegiato – ha continuato – c’erano tanti giovani, problemi di droga, le carcere vanno riformati insieme alla giustizia, non rieducano. Io sto dando una mano ancora a molti detenuti, quando vengono lasciati liberi lo stato non ti segue. Mi son trovato in un ambito dove poter esprime il senso di solidarietà e per il quale sono stato incarcerato. Qualche parente ha avuto dubbi? Direi pochi, quasi nessuno, è questo mi ha fatto sostenere e resistere. Mi auguro solo – ha concluso – che nessun innocente possa subire quanto subito io”.