Massimo Cacciari, pensatore di acuta profondità e chiara saggezza, ha analizzato uno dei temi più universali e ineludibili, che riguarda chiunque su questa terra: la morte.
Al centro della sua riflessione non troviamo però il solito dibattito ideologico sulla fine dell’esistenza, ma una considerazione profonda, che scava più a fondo e che sfida l’apparente certezza della scomparsa: l’analisi filosofica di Cacciari si concentra principalmente sul paradosso della morte che, lontano dall’essere una semplice conclusione del nostro percorso, diventa il vero cuore di un’esistenza pienamente vissuta, dove la consapevolezza dell’essere finiti e circoscritti alla dimensione terrena non è un limite, ma una condizione da accogliere benevolmente come parte essenziale della nostra vita.
“Pensare alla morte ogni giorno è l’unico modo di vivere”, afferma sicuro il filosofo, e con queste parole introduce una considerazione piuttosto angosciosa sulla condizione umana, che sembra oggi dimenticare la morte, rimuovendola dalla sua esistenza per concentrarsi esclusivamente sulla sopravvivenza.
Cacciari sfida l’uomo contemporaneo, spesso imprigionato nel culto della durata e nella conservazione della propria estetica, a lo invita a ripensare sul suo rapporto con il tempo e con il fine ultimo dell’esistenza stessa: “Morire è un verbo, non un fatto”, dichiara convintamente, sostenendo che la morte accompagna ogni singolo attimo della nostra vita, non come un evento imprevisto, ma come una elemento intrinseco di ogni nostro gesto, pensiero, o emozione.
La morte, nell’ottica di Cacciari, non è individuabile nella fine di un percorso, ma in una condizione permanente, sempre presente e costantemente rivelatrice: il suo pensiero vuole porsi come un invito a vivere senza paura di questo inevitabile passaggio, a considerarlo non come una minaccia incombente, ma piuttosto come una chiamata a essere più veri, più autentici in ogni nostro atto.
Non esclusivamente la morte, ma anche il lutto stesso è, secondo Cacciari, una tappa necessaria, un punto essenziale nel processo di crescita dell’individuo: “Il lutto è una parte della tua vita che non deve essere superata, ma vissuta”, dice, dando valore alla memoria, vista come una risorsa vivente, capace di nutrire e alimentare, fornendo una rinnovata energia alla nostra esistenza.
La morte come fase di transizione: l’illusione della durata dell’Occidente
Il pensiero di Cacciari sulla morte si intreccia inevitabilmente con la sua concezione del presente e del futuro, con la dimensione sociale e collettiva, specialmente riguardo la crisi valoriale profonda che sta investendo dell’Occidente: a proposito di una società sempre più ossessionata dalla durata, dalla conservazione della propria stabilità e apparenza, Cacciari è fermo nel ribadire che questa deriva non è altro che la manifestazione della “decadenza” di un modello che ha ormai perso la sua direzione.
“L’Occidente è diventato un’entità che si sforza di sopravvivere, di conservare una forza economica che non ha più“, dice con un pizzico di angoscia, suggerendo che il desiderio dell’eternità, il sogno dell’infinitezza, che per secoli ha caratterizzato la civiltà occidentale è ormai svanito.
Ne emerge la denuncia dell’incapacità dell’Occidente di adottare un nuovo modello culturale, che recuperi i valori di solidarietà, diritti umani e generosità che hanno storicamente caratterizzato questa grande popolazione: la sua previsione sul futuro prossimo appare cupa, a tratti drammatica, con la globalizzazione che è diventata un processo di “occidentalizzazione del globo“, mettendo a nudo le controversie di un mondo in continua trasformazione e mutamento.
Ma la riflessione di Cacciari si spinge oltre, fino a chiedersi che fine faranno la filosofia e la religione in questo universo in continuo divenire: il filosofo si chiede quale possa essere il destino dell’anima e non esclude a priori l’idea che possa esistere una sorta di “cloud” dove le coscienze possano continuare ad esistere, proprio come le informazioni continuano a essere archiviate anche dopo la morte dei nostri strumenti tecnologici.
Secondo questo pensiero, l’Occidente potrebbe ritrovare la luce e il giusto cammino, ma non più esclusivamente come superpotenza economica o militare, ma come paradigma di un nuovo spirito culturale, che riscopre la propria abilità nel generare cambiamento, innovazione e progresso.