Massimo Dapporto, celebre regista e attore, tanto televisivo quanto cinematografico e teatrale, ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi dalla scena. A Libero, infatti, spiega che “ho 78 anni e un altro contratto biennale mi costringerebbe a stare in macchina con la valigia pronta fino a 80 anni. Non mi ci vedo più”. Non sarà, però, un addio completo, perché “continuerò a fare televisione, cinema, anche teatro ma da artista residente, nei quali posso stare fermi in un posto”.
Ma nella sua intervista Massimo Dapporto ha voluto anche parlare della sua carriera, ricordando il grande equivoco che fu, per lui, “una grande fortuna”, perché gli permise di ottenere una parte, per la quale non aveva fatto domanda, nel film La Famiglia di Ettore Scola. “Io in realtà”, racconta, “avevo incontrato il regista Steno mentre ero in sala di doppiaggio. Mi fece molti complimenti e io gli preannunciai l’invio di alcune mie foto. L’agenzia, però”, ricorda ancora Massimo Dapporto, “evidentemente sbagliò indirizzo e mandò tutto a Scola” ed ottenne, così, l’ambiziosa parte.
Massimo Dapporto: “Nella mia carriera non mi hanno regalato nulla”
Massimo Dapporto, però, ci tiene anche a sottolineare come nessuno, nella sua carriera, “mi ha fatto pagare l’essere figlio d’arte”, così come “nessuno mi ha regalato niente“. All’inizio, infatti, negli anni ’70, “facevo piccoli ruoli” e il suo nome, a differenza di molti colleghi figli d’arte, “figurava come se fossi stato figlio di un delinquente“. Decise, così, “di portare il mio nome all’altezza del cognome”, e a 78 anni di età crede “di esserci riuscito”.
E su un altro dei grandi meriti della sua carriera, ovvero l’aver reso celebre il genere del medical drama, Massimo Dapporto ricorda che “pensavo che avrei continuato a fare cinema”, ma “nel ’92 il produttore Manzotti mi ha voluto come protagonista nella serie Amico mio”. I coproduttori tedeschi, però, non volevano che il medico avesse i baffi, forse perché non li consideravano un modello di igiene per i bambini”. Ma la prima stagione andò così bene, ricorda Massimo Dapporto, che “nella seconda i baffi erano diventai uno status symbol”.