L’omicidio di Massimo Pietroni e la sua vicenda giudiziaria sarà al centro della nuova puntata di Un Giorno in Pretura, in onda nella terza serata di Rai3. La puntata in questione prende il titolo di “Delitto in discoteca” e fa riferimento proprio a quanto accaduto la notte tra il 18 e il 19 gennaio 2008 al “Sunshine Ranch”, discoteca di salsa e merengue a Santa Marinella, sul litorale a nord di Roma. Qui furono esplosi tre colpi di pistola a bruciapelo che colpirono ed uccisero Massimo Pietroni, bidello di una scuola elementare di Ladispoli e che nel fine settimana arrotondava facendo anche il buttafuori. Il delitto si sarebbe consumato dopo il tentativo della vittima di sedare una lite esplosa dopo che il suo killer aveva iniziato ad infastidire delle ragazze che ballavano. All’invito a lasciare il locale, però, l’uomo avrebbe reagito premendo per tre volte il grilletto.
L’uomo in questione accusato dell’omicidio del buttafuori è Stefano Frignani, quarantenne con una serie di precedenti penali, il quale dopo aver esploso i tre colpi mortali, come rammenta un articolo dell’epoca de Il Giornale, si diede alla fuga, a piedi, lungo la ferrovia della linea Roma-Genova e una latitanza durata quattro ore. Quando i carabinieri lo rintracciano, lui sta facendo colazione in un bar come se nulla fosse limitandosi a dire, mentre viene portato via: “Vi sbagliate, non sono stato io”.
OMICIDIO MASSIMO PIETRONI, BUTTAFUORI UCCISO: IL CASO A UN GIORNO IN PRETURA
Le prove contro Stefano Frignani sono sin da subito schiaccianti: oltre ai numerosi testimoni, ci sono anche le tracce di polvere da sparo rinvenute su alcuni indumenti abbandonati sul luogo del delitto di Massimo Pietroni. Proprio le testimonianze furono fondamentali nel corso del processo che ci celebrò in Corte d’Assise a Roma, durante il quale intervenne anche un teste chiave, testimone oculare del delitto, che ammise: “Ho visto Frignani sparare a Pietroni”. Al termine del procedimento e di una camera di consiglio di due ore, giunse la sentenza che condannò Frignani a 25 anni di carcere – come rammenta Civonline.it – e al pagamento di 100 mila euro per ognuna delle tre parti civili. L’imputato avrebbe commentato a caldo: “Mi dispiace che questa sia la nostra giustizia e soprattutto mi dispiace che il vero assassino sia ancora in circolazione”. Parole che giustificano quanto avvenuto nel corso del processo, durante il quale l’uomo aveva indicato in un terzo uomo, alto e moro, come presunto omicida. E proprio su questo punto si è battuta anche la sua difesa nel corso delle arringhe difensive. I difensori aveva fatto richiesta di assoluzione per non aver commesso reato o, in subordine, di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, del riconoscimento dell’eccesso colposo di legittima difesa o della provocazione. La Corte, tuttavia, aveva accolto la richiesta della pubblica accusa, diminuendola però di 5 anni.