Più che nelle scorse edizioni, la Festa del cinema di Roma sembra aver inglobato al suo interno anche le istanze del defunto Roma Fiction Fest, presentando molte opere televisive italiane (come le serie di Zerocalcare, Gabriele Muccino e Carlo Verdone) o internazionali (i documentari a puntate su Muhammad Ali e il caso JFK). In questo contesto si colloca anche Crazy for football – Matti per il calcio, un film tv Rai diretto da Volfango De Biasi a partire da un suo premiato documentario.
Il film racconta la storia dell’organizzazione del primo campionato del mondo di calcio a 5 per pazienti affetti da disturbi psichiatrici attraverso la storia di uno psichiatra (Sergio Castellitto), del suo staff e dei pazienti che andranno a comporre la nazionale italiana.
La sceneggiatura di Filippo Bologna, Tiziana Martini e Francesco Trento rimaneggia la vera storia raccontata da De Biasi prima nel 2004 e poi nel 2016 per renderlo un prodotto appetibile per la prima serata Rai, ma al tempo stesso non manca mai di rispetto al suo pubblico.
Al di là infatti di tutte le semplificazioni narrative e i compromessi produttivi che un film del genere ha, Matti per il calcio è prima di tutto un atto di cura e considerazione verso le persone che sta raccontando e il senso di ciò che hanno compiuto, in cui De Biasi si adatta alle necessità drammaturgiche del mezzo, ma al tempo stesso non mette mai da parte il senso dell’operazione, ovvero il racconto di un modo diverso di vivere e concepire la terapia, in linea con i precetti di Basaglia di cui Castellitto, da Il grande cocomero a In Treatment, sembra uno degli interpreti perfetti.
Questa cura la si sente nella sceneggiatura, nel modo di articolare i personaggi e i loro rapporti, nell’utilizzo di termini e prassi corrette (in un litigio, la figlia del protagonista lo accusa di volerla “stigmatizzare” e ‘stigma’ fu una delle parole chiave della rivoluzione basagliana), ma allargando l’orizzonte anche nell’aver inserito sfumature non proprio aduse a Rai 1 e al suo pubblico: per una rete così conservatrice e tradizionalista, raccontare la famiglia come gabbia e responsabile dei disagi familiari, oppure mostrare una ragazza che desidera e che si emancipa dal paternalismo proprio grazie al suo desiderio – pur casto – non sono operazioni banali, che fanno del film anche un testo che a suo modo mette in discussione le precedenti narrazioni sull’argomento.
Con tutti i limiti estetici e artistici che si possono riscontrare, Matti per il calcio resta un’operazione onesta, che sa cosa vuole, a chi rivolgersi e come farlo, divertendo e commuovendo senza scivolare troppo, puntando saggiamente su un cast di alto livello, che quasi mai recita come stereotipo televisivo vorrebbe. E che spinge a recuperare il documentario, visibile su RaiPlay.
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