Il Medio Oriente è uno di quei territori che produce più storia di quanta riesca a consumarne. Soprattutto in questo momento geopolitico, in cui Hezbollah, il primo proxy dell’Iran, è a pezzi, degradato da esercito a milizia, e la sua leadership è allo sbando dopo i rabbiosi attacchi israeliani. Sta solo all’unità dei libanesi annichilire definitivamente le sue capacità offensive e destabilizzatrici.
Hamas, che ha scatenato la guerra il 7 ottobre 2023, è ridotta a un’ombra e a Gaza sopravvive solo perché Israele non ha ancora trovato, o autorizzato, un’alternativa politica per la sostituzione. La Siria, ponte geopolitico per la proiezione di Teheran verso il Mediterraneo, si è liberata degli Assad, grazie alla debolezza dell’Iran e al disimpegno della Russia che li hanno abbandonati. Mentre il nuovo regime di terroristi “pentiti”, con tutte le sue tare, vede nei persiani solo nemici.
In tutto questo l’Amministrazione Trump, che si è già inserita nello scacchiere sostenendo il cessate il fuoco per Gaza, potrebbe fare il bis portando un equilibrio regionale basato su un elemento che il territorio da tempo non produce e di cui non ricorda sicuramente il sapore. Parliamo di pace stabile e duratura.
Primo obiettivo a Beirut potrebbe essere che il nuovo presidente Joseph Aoun e il primo ministro Nawaf Salam impediscano a Hezbollah di recuperare forze e consenso controllando i ministeri chiave e le Forze armate. A facilitare il cammino di pace servirebbe anche l’implementazione di nuovi negoziati degli Accordi di Abramo tra Arabia Saudita e Israele, ora in stallo, attraverso una mediazione Usa. Accordi che sarebbero apripista per altri simili in tutta l’area e che, con il riconoscimento reciproco, porterebbero allo spegnersi delle instabilità.
Netanyahu da parte sua dovrà capire e investire su un progetto di pace che non può prescindere dal sostegno all’Anp come forza di Governo palestinese, che con tutti i suoi difetti è l’unica alternativa praticabile al controllo di Hamas sulla Striscia.
La strada per la pace è ancora lunga e difficile, per esempio Hezbollah potrebbe superare lo sbarramento del nuovo Governo libanese, Hamas potrebbe rompere il cessate il fuoco, Netanyahu potrebbe preferire la guerra oltranza invece della pace. In Siria i nuovi governanti potrebbero cedere alla loro matrice jihadista.
Su tutto questo però incombe l’Iran, colpito e stretto all’angolo, ma ancora capace di potenti colpi di coda senza escludere l’uso dell’arma nucleare. L’Amministrazione Trump ha annunciato l’occupazione americana di Gaza da trasformare in “riviera del Medio oriente” con la deportazione dei palestinesi in Arabia ed Egitto. Come avere una pistola sul tavolo per nuove trattative sul futuro riassetto del territorio.
Gli Usa hanno anche emesso una nuova serie di sanzioni contro navi e personaggi coinvolti nel contrabbando di petrolio iraniano sotto embargo verso la Cina. In modo da aumentare la stretta commerciale sulla Repubblica Islamica, costringendo la Cina ad acquistare petrolio a prezzo pieno e in dollari e avvantaggiando gli altri produttori Opec.
La mossa segue la dichiarazione del presidente Trump di voler tornare a un approccio di “massima pressione” nei confronti dell’Iran per impedirgli di sviluppare un’arma nucleare. Come già sperimentato, è chiaro però che si tratta di minacce preventive per inserire nel giusto frame futuri negoziati con l’Iran. Teheran sta facendo lo stesso. La guida suprema Ali Khamenei tuona di pesanti ripercussioni contro gli Usa. Contemporaneamente il presidente Pezeshkian prova ad allentare la pressione diplomaticamente, cercando aiuto nell’Opec per creare un fronte comune contro le sanzioni Usa verso Teheran.
Pezeshkian per trovare aiuto ha cercato di far condividere dall’Opec l’idea che nuove sanzioni avrebbero un effetto destabilizzante sui mercati petroliferi con ripercussioni sugli utenti finali degli idrocarburi. Tuttavia questa richiesta di aiuto, formulata da Teheran anche in passato sotto forma di chiamata all’unità islamica, senza una contropartita verso gli altri produttori, sarà difficilmente recepita. L’Opec è composta di Paesi in concorrenza tra loro che traggono vantaggio dalle difficoltà altrui. Quindi, le sanzioni su un produttore permettono agli altri di aumentare le esportazioni.
Per tutti questi fatti, e con tutti questi attori coinvolti, la via negoziale è l’unica auspicabile e la sola percorribile per la ricerca di un equilibrio delle forze e dei risultati, per ottenere la pace in Medio Oriente e garantire un futuro migliore nel quadrante.
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