Sul quotidiano “Il Dubbio” è stata pubblicata una lunga intervista a un ergastolano, Salvatore Pezzino, in carcere da circa 40 anni: ne aveva 22 quando fu condannato per tentato omicidio, rapina aggravata, omicidio con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Il dialogo giornalistico è stato reso possibile dall’intermediazione epistolare dell’avvocato Giovanna Araniti. Il detenuto ha esordito dicendo: “Spiegare come si sopravvive decenni in uno spazio vitale spesso al di sotto dei due metri quadrati non è facile. Forse è il non voler morire a nessun costo, andare avanti contro ogni logica, oppure la vita è così bella da essere vissuta in qualsiasi modo. Non c’è nulla di umano in una cella, che è una gabbia a tutti gli effetti. Gli animalisti contestano gli zoo perché è disumano tenere gli animali in gabbia che fanno avanti e indietro in modo ossessionante. Lo stesso fanno i carcerati nelle celle, ma nessuno obietta”.
Secondo Pezzino, ergastolano, in tutte le prigioni d’Italia le condizioni di vita sono “disumane e degradanti. Le riforme vengono tenute nei cassetti, le leggi ci sono ma non vengono applicate. Qualche esempio: impianti di riscaldamento inefficienti, ventilatori inesistenti quasi dappertutto; le carceri d’estate sono forni e d’inverno freezer. Rieducare in queste condizioni non è pensabile. Il detenuto ha bisogno di avere fiducia e di essere preso in considerazione. Non si può rieducare un detenuto se per 30 anni lo si tiene alla catena costringendolo a odiare tutto e tutti. Da carnefice diventa vittima e lo Stato ha perso la sua funzione”.
“ERGASTOLANO OSTATIVO NON HA ALTERNATIVE, SE NON LA REINTRODUZIONE DELLA PENA DI MORTE”
Pezzino, sulle colonne de “Il Dubbio”, ha confidato che i sentimenti che un ergastolano sperimenta nel chiuso di una cella per anni sono davvero inimmaginabili. Molti “pensano alla pena di morte come risoluzione, ma a condizione che arrivi subito, non dopo 25 o 30 anni. Diventare un relitto umano dopo decenni di prigionia, un disadattato, perdere la ragione nella speranza di una libertà che non arriverà, ammalarsi per finire i giorni in una branda come un vegetale senza le cure adeguate, è certamente il peggio che può succedere ad un ergastolano. Per questo ci auguriamo un infarto fulminante”.
Tuttavia, a volte si registrano cambiamenti improvvisi: a qualche ergastolano è stata riconosciuta l’innocenza, ad altri la pena è stata commutata in 30 anni, altri ancora sono riusciti ad accedere ai permessi premio. Ecco perché, ha detto Pezzino, credo che “il gioco vada portato avanti fino alla fine, perché finché c’è vita c’è speranza […]. Ai detenuti per reati di mafia, inoltre, viene chiesto di mostrare la faccia per fare nomi e cognomi di ipotetici complici o ritenuti tali, con la conseguenza che questo causerebbe gravi ritorsioni per se stesso e i propri familiari. Sicché la questione diventa: morire in carcere oppure farsi uccidere o fare uccidere qualche familiare?”.