Quattordici anni dopo l’omicidio di Melania Rea – uccisa con 35 coltellate dal marito Salvatore Parolisi nel bosco di Ripe di Civitella – suo padre Gennaro Rea rompe il silenzio con parole cariche di rabbia e disillusione: “Non posso dire che Melania abbia avuto giustizia, perché non l’ha avuta”, afferma in un’intervista al quotidiano Il Centro, denunciando un sistema che, a suo dire, minimizza la crudeltà dei femminicidi.
La vicenda – che nel 2011 sconvolse l’Italia – torna alla luce con le sue ferite ancora aperte: Parolisi, condannato a 20 anni dopo un percorso giudiziario tortuoso, ha visto revocare i permessi premio per aver mostrato, in un’intervista a Chi l’ha visto? “mancanza di rispetto per la vittima e per le donne”.
Gennaro Rea ricorda ogni dettaglio con straziante precisione, la figlia di 29 anni lasciata agonizzante, la nipotina Vittoria – oggi diciottenne e con un nuovo cognome – seduta in auto durante l’omicidio, il corpo oltraggiato per depistare le indagini: “Per i giudici, questo non è crudeltà” accusa, paragonando il caso a quello di Filippo Turetta.
La battaglia di Gennaro Rea non è solo contro il tempo che non lenisce il dolore, ma contro una giustizia che definisce cieca di fronte alla sofferenza umana: “Come si misura il terrore di una donna colpita a morte da chi amava?” si chiede, mentre rivive l’assurdità di una sentenza che ha eliminato l’aggravante della crudeltà. La sua voce si incrina parlando di Vittoria, cresciuta lontana dal padre e affidata ai nonni: “Le abbiamo detto la verità, ma niente sostituirà le carezze di sua madre”.
Melania Rea: la battaglia di Gennaro tra memoria e giustizia negata
“Chi uccide così non può redimersi” – insiste Gennaro Rea – riferendosi alla possibilità che Parolisi, definito un detenuto “modello”, possa un giorno riottenere la libertà; la sua lotta si intreccia con quella di molte famiglie di vittime di femminicidio, tanto che dopo la morte di Melania Rea, ha fondato un’associazione contro la violenza di genere, ma denuncia l’inerzia dello Stato.
“Le leggi ci sono, ma manca la certezza della pena – spiega, ribadendo come i tribunali riducano pene annacquando le aggravanti – “Perché uno che torna a profanare il corpo della moglie non è crudele? Perché Turetta, che ha seviziato Giulia, non lo è?”.
Il ricordo di Melania, per lui, è un mosaico di sorrisi e speranze spezzate: “Era una madre felice, innamorata della vita. Oggi vedo sua figlia crescere senza di lei, e so che Parolisi le ha rubato tutto”. La nipote Vittoria – che ha rimosso il cognome paterno – è il simbolo di una resilienza dolorosa; Gennaro Rea non urla vendetta, ma chiede semplicemente la verità che gli è dovuta.