L’immagine che chiude la lunga giornata di Giorgia Meloni è alla tavola del re d’Olanda, all’Aia, accanto a Donald Trump, alla cena ufficiale dei partecipanti al vertice della NATO. Da Palazzo Chigi fanno sapere che la premier italiana e l’imprevedibile inquilino della Casa Bianca hanno discusso a lungo “dei principali dossier internazionali, a partire dai recenti sviluppi in Medio Oriente”.
E chissà se Meloni avrà ricavato dal colloquio qualche elemento in più per capire come muoversi in uno scenario internazionale che cambia alla velocità della luce, e riempire quei vuoti che ha lasciato intravedere con i suoi interventi in parlamento di questi giorni.
Parlando alla Camera lunedì e al Senato ieri Meloni è apparsa guardinga, preoccupata di non farsi cogliere impreparata dai repentini cambi di scenario. Per questo le sue parole sollevano interrogativi.
Ha chiarito che nell’attacco statunitense sull’Iran non c’è stato alcun coinvolgimento italiano. Nessun supporto, né diretto, né indiretto. Le basi americane nella penisola non sono state usate. E qualora gli USA lo volessero fare, dovrebbero chiederlo al governo, e quest’ultimo al parlamento.
Emerge qui la prima incognita: Meloni l’uso futuro delle basi per azioni del tipo di quella vista sui cieli iraniani non l’ha escluso a priori, lasciando uno spiraglio per scenari preoccupanti, con l’Italia obtorto collo in prima linea o quasi.
Secondo nodo da sciogliere: “si vis pace, para bellum”, ha scandito ieri la premier a Palazzo Madama, beccandosi i rimbrotti di Elly Schlein. Proprio all’Aia si sta giocando in queste ore una partita decisiva intorno alla perentoria richiesta di Trump agli alleati NATO di alzare le spese militari al 5% del PIL. Una richiesta che getta nel panico i Paesi europei, specie quelli con i conti pubblici meno in linea con i diktat di Bruxelles.
Pur in presenza di un tentativo della stessa NATO di addolcire la pillola ampliando il concetto di spese per la difesa, questo obiettivo appare lontanissimo, visto che neppure quello del 2% è ancora stato raggiunto. Trovare molti più soldi per la difesa vuol dire tagliare altrove, forse mettere a rischio l’impalcatura del nostro sistema di welfare.
Alcuni Paesi, come la Spagna, invocano deroghe e protestano la propria indisponibilità ad arrivare a quel livello di spesa. Ma la deroga è stata smentita, e Trump non appare affatto intenzionato a concedere sconti. Meloni deve fare molta attenzione, perché le scelte che potrebbe essere costretta a compiere potrebbero costarle parecchio in termini di popolarità.
In parallelo all’aumento delle spese militari c’è un altro problema, il terzo. Si tratta di intendersi in ambito UE sul concetto di “difesa europea”. Per Macron e Merz, ma anche per von der Leyen, in prospettiva si tratta di qualcosa di autonomo dalla NATO, e quindi dagli USA. Per la premier italiana, al contrario, parlare di difesa europea ha senso solo all’interno del perimetro dell’Alleanza Atlantica.
Se ne discuterà giovedì e venerdì a Bruxelles al Consiglio europeo, e sarà complesso. Dalle parti di Palazzo Chigi si nutre il sospetto – assolutamente fondato – che il piano europeo “Readiness 2030” (Prontezza 2030) serva soprattutto a rilanciare le industrie di Francia e Germania. Non si vede alcun vantaggio per l’Italia, o quasi, e a queste condizioni – è il ragionamento – tanto vale cercare di mettere i bastoni fra le ruote a Parigi e Berlino.
Quarto e ultimo nodo, quello dell’energia, apparso chiaro quando M5S ha presentato una mozione che non esclude il ritorno all’acquisto del gas russo.
Il campo largo è andato in pezzi, perché il Pd è inaccettabile seguire Conte su un terreno così insidioso. Meloni ha potuto osservare con una punta di divertimento la spaccatura dell’opposizione, ma a mezza bocca qualcuno in maggioranza fa notare che sul costo dell’energia il governo non ha fatto praticamente nulla e le imprese sono scontente. E con i prezzi così alti il rischio dietro l’angolo è quello di chiudere (per chi non lo ha già fatto). Il governo in quella direzione qualche segnale deve trovare il modo di darlo.
Per il resto, ogni mossa deve essere calcolata con cura. Il “fattore esterno” è più forte che mai. Ma le scelte che può imporre sul piano interno, specie quelle con fortissime ricadute sull’economia e le casse pubbliche – l’Italia spende in difesa l’1,5% del PIL, ogni mezzo punto sono circa 10 miliardi di euro –, possono essere dolorose e difficili da sopportare.
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