Non ha mai smesso di credere nella giustizia Michele Padovano, anche se ha vissuto un calvario lungo 17 anni. L’ex calciatore della Juventus ne ha parlato a Quarta Repubblica, ripercorrendo quanto gli è accaduto nel 2006, quando venne accusato di traffico internazionale di droga, fino alla sentenza della Cassazione, che ha annullato la condanna a 6 anni e otto mesi di carcere. I ricordi partono dal momento dell’arresto. «Era il 10 maggio del 2006, in quel periodo ero il direttore generale dell’Alessandria calcio. Quella sera ero a cena con degli amici, a mezzanotte e mezza mi recai a casa per andare a dormire e tre vetture dei carabinieri in borghese mi fermarono e mi portarono a casa per la perquisizione». All’inizio pensava ad uno scherzo, magari proprio del programma di Mediaset “Scherzi a parte”. Ma non era così.
«Mi dissero di prendere gli indumenti perché mi avrebbero portato in caserma per foto segnaletiche, impronte digitali. Dopo qualche ora mi portarono in carcere a Cuneo, in isolamento». Alle 4:30 Michele Padovano circa si ritrova in carcere. «Quella notte lì non ho dormito chiaramente, perché non riuscivo a capacitarmi di quello che mi fosse successo. Non mi rispondeva nessuno. Mi diedero l’ordinanza, un faldone di 200 pagine. Io cominciai a studiarlo in maniera maniacale per cercare di capire che cosa stesse succedendo. Più andavo avanti nel leggere, più mi rendevo conto che prima o poi si sarebbero resi conto che io in quella vicenda non c’entravo nulla».
IL CALVARIO DI MICHELE PADOVANO
Dopo 10 giorni di isolamento, Michele Padovano era convinto di poter tornare a casa. Invece, si ritrovò nel carcere di Bergamo, dove trascorse tre mesi perché accusato di aver finanziato un amico narcotrafficante. «L’accusa era di spaccio internazionale di stupefacenti. Io avevo prestato 36mila euro a questo caro amico d’infanzia che aveva anche fatto dell’altro chiaramente, ma lui me li motivò dicendomi che avrebbe comprato dei cavalli. Noi abbiamo dimostrato al processo che quei cavalli sono stati comprati effettivamente, però non siamo stati creduti. Quindi, purtroppo c’è stata la condanna in primo grado a 8 anni». In appello fu poi ridotta a 6 anni e otto mesi. La Cassazione ha poi ribaltato tutto: infatti, è stato assolto definitivamente il 3 gennaio 2023. «Devo dire che ho sempre creduto nella giustizia. Ero convinto che prima o poi si sarebbero resi conto, anche se non nascondo che avevamo fatica dimostrare la nostra innocenza. Dopo due condanne ero abbastanza titubante, però non ho mai perso le speranze». Erano stati chiesti addirittura 24 anni di carcere per l’ex calciatore della Juventus. «Sì, pensavano che io fossi l’Escobar italiano chiaramente».
PADOVANO “HO PERSO TUTTO, NON LA MIA FAMIGLIA”
La stampa è stata durissima con lui: «Devo dire che è andata giù davvero molto pesante, non tenendo conto di quello che poteva succedere la mia famiglia, che era fuori, e al sottoscritto che leggeva certe cose che non gli competevano assolutamente». Michele Padovano percepiva il pregiudizio delle persone nei suoi confronti, ma qualcuno gli è stato vicino. «Gianluca Presicci, che sentiamo spesso e volentieri ancora oggi con le nostre famiglie, l’altro è Gianluca Vialli che al momento del mio arresto telefonava a mia moglie per sapere delle mie condizioni». Oggi Gianluca Vialli sarebbe senza dubbio contento nel sapere che Michele Padovano è stato assolto. Ora sente che gli siano stati rubati 17 anni della sua vita, così come alla sua famiglia. «Non sono assolutamente arrabbiato adesso, dopo quello che ho vissuto, vorrei pensare al presente e al futuro che qualcuno mi desse l’opportunità di riprendermi quello che mi è stato tolto con tanta ferocia». Suo figlio, quando tutto è cominciato, aveva 14 anni, ora ne ha 31. «È stato molto bravo, è stato un ometto sin dall’inizio e sono molto orgoglioso di lui e di mia moglie». Da dirigente di calcio si è ritrovato senza nulla tra avvocati da pagare e soldi che non entravano a casa perché non lavorava. «Avevo proprietà immobiliari, ma ho acquistato una famiglia che è davvero una cosa incredibile. Siamo più uniti che mai». Peraltro, nessuno gli ha dato l’opportunità di tornare a lavorare nel mondo del calcio. «Mi piacerebbe che qualcuno mi desse l’opportunità».