La Commissione europea ha pronto il documento con i Paesi considerati sicuri per il rimpatrio dei migranti. Sono sette: Egitto, Bangladesh, Colombia, Tunisia, Marocco, India e Kosovo. Un primo passo, questa volta di natura politica, verso la definizione dell’intera materia, che sarà trattata anche da un’attesa sentenza della Corte di giustizia europea, cui spetterà il compito di individuare su quali basi i singoli Paesi potranno stabilire se le nazioni di provenienza dei migranti possono essere considerate sicure.
I Paesi scelti dalla Commissione UE, spiega Mauro Indelicato, giornalista di Inside Over e Affari Italiani, non sono ufficialmente in guerra, anche se in alcuni casi ci sono comunque conflitti interni. Questo sembra essere il criterio fondamentale. Per capire come questa lista potrà influire sulle decisioni del governo italiano in tema di immigrazione, occorrerà comunque attendere il pronunciamento dei giudici europei, che permetterà di avere un quadro più completo.
Di certo, le decisioni dei magistrati o dei politici, tuttavia, non incideranno sugli sbarchi quanto la situazione in Libia, dove le singole milizie imperversano più di prima. L’aumento o meno dei flussi dipenderà soprattutto da questo.
Secondo le prime indiscrezioni, la Commissione europea ha definito i Paesi stranieri ritenuti sicuri per il rimpatrio dei migranti. Sulla base di questo elenco, cosa si può dire in relazione ai criteri seguiti per effettuare queste scelte?
Sono stati inseriti Paesi non in guerra o, almeno, quelli dove ufficialmente non vige uno stato di guerra. Perché, ad esempio, nella prima bozza circolata c’è anche la Colombia, che, sulla carta, non è più in guerra da diversi anni dopo l’accordo tra governo centrale e Farc.
Tuttavia, nei fatti, ci sono ancora gruppi attivi e intere aree del territorio nazionale fuori dal controllo del governo. Il criterio, comunque, riguarda quello della presenza o meno di un conflitto “ufficiale” nel proprio territorio. La Tunisia, altro Paese inserito, non è in guerra. Idem il Kosovo, il quale ha situazioni di tensione ben note al proprio interno, ma non è impelagato, almeno sulla carta, in un conflitto.
Tra i Paesi indicati ci sono Egitto e Bangladesh, quelli da cui provenivano le persone il cui trattenimento nei centri in Albania non era stato convalidato dal Tribunale di Roma. Cosa significa questo per il governo italiano?
Per il governo italiano, al momento, non cambia molto. I centri in Albania sono stati trasformati in normali centri di accoglienza e non credo che le scelte che stanno emergendo in Europa consentano a Roma di rivalutare la normativa voluta lo scorso anno. Al di là della presenza nella lista di determinati Paesi, occorre infatti tenere in considerazione non poche prescrizioni e non pochi elementi prima di poter decidere sulla sorte di un singolo migrante.
L’Italia attende ancora un pronunciamento da parte della Corte di giustizia europea su questo tema. A questo punto, c’è da aspettarsi una sentenza favorevole al governo Meloni? O anche in Europa le indicazioni della politica e quelle dei giudici possono correre su binari differenti?
Credo che il documento della Commissione, in qualche modo, sia stato redatto in funzione della papabile sentenza della Corte europea. Scelte politiche di Bruxelles e interpretazioni giuridiche attese credo si muoveranno in simbiosi e si integreranno l’una con l’altra. Questo non vuol dire che la sentenza sarà pro o contro Meloni, al pari di come la bozza approvata dalla Commissione non è stata fatta in funzione di andare a favore o contro il governo italiano. Più semplicemente, le nuove norme e le nuove sentenze daranno un complessivo quadro normativo entro cui tutti i governi, compreso quello italiano, ovviamente, dovranno muoversi.
Le osservazioni presentate alla Corte europea dall’avvocato generale Richard de la Tour in vista della sentenza dei giudici UE dicono che uno Stato può definire i Paesi sicuri ma deve chiarire quali sono le motivazioni che lo hanno portato a questa decisione. Se questa diventasse la linea da adottare, cosa significherebbe per l’Italia?
Vuol dire che la lista di 22 Paesi, scesi poi a 19 nella versione successiva, redatta lo scorso anno, dovrà essere rivista. Perché, se è vero che ogni Stato nazionale può avere discrezione nel considerare o meno un Paese sicuro, è altrettanto vero che il governo deve poi minuziosamente spiegare le motivazioni dietro le sue scelte. Non ci si può, cioè, basare su semplici considerazioni politiche o legate all’attualità, devono esserci precisi criteri basati sul diritto dell’UE e sul diritto internazionale.
Roma potrà anche stilare una lista più lunga di quella della Commissione, ma dovrà motivare in modo attento le scelte e dovrà scremare, per l’appunto, la lista di 19 Paesi approvata nel 2024.
Si avvicina la bella stagione e aumentano le possibilità di sbarco dei migranti. Quanto possono incidere le decisioni di politici e giudici sull’entità degli arrivi? Come possono avere un valore di deterrenza?
La bella stagione si avvicina e sarà, con molta probabilità, più difficile dello scorso anno. Ma non per le scelte dei governi o dei giudici, le quali incidono sempre meno nelle dinamiche dei flussi irregolari, bensì per quanto sta accadendo lungo la costa della Tripolitania. Sono venuti a mancare determinati equilibri politici e militari, molte fazioni nelle cittadine portuali a ovest di Tripoli hanno assistito all’eliminazione di vecchi capibastone e alla scalata di nuovi potentati criminali.
Tutto questo ha portato a recenti picchi nel numero delle partenze dalla Libia, come quelli visti a gennaio, a febbraio e a inizio aprile. Complessivamente, rispetto al 2024, il numero di sbarchi è calato, ma, per l’appunto, ci sono repentini alti e bassi che fanno temere ulteriori picchi di partenze con l’arrivo dell’estate.
(Paolo Rossetti)
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