Fra pochi giorni, il 14 novembre, il centrosinistra sceglierà il proprio candidato alle elezioni comunali di Milano attraverso lo strumento delle primarie. Dopo aver intervistato Giuliano Pisapia e Stefano Boeri, IlSussidiario.net ha chiesto a Valerio Onida di confrontarsi con gli stessi interrogativi sulla città.
Che città vuole e cosa si augura per Milano?
Vorrei una Milano che riprenda a essere luogo di convivenza e integrazione, che ai suoi abitanti – a tutti – assicuri la soddisfazione dei diritti fondamentali della persona (come il lavoro e la casa), che guardi alla politica come strumento di cura della comunità e non gioco di potere e lotta fra interessi particolari.
Un amministratore ha il dovere di perseguire ciò che è bello? Quanto tempo pensa di poter dedicare da sindaco alla bellezza della città?
Come ci insegna il Cardinal Martini non è questione di tempo…
Qual è la sua bussola, cosa la muove nella sua vita e nella sua dimensione personale?
Ognuno di noi, come persona, ha le sue “bussole” interne. Come persona che si candida per le istituzioni, la “bussola” non possono che essere i valori della Costituzione.
Se avesse a disposizione soltanto tre parole per identificare Milano, quali userebbe? Che immagine le viene in mente quando pensa alla città?
Lo dico in negativo (la tirannia delle parole): le tre parole che vorrei non si dovessero più usare per parlare di Milano sono: “Milano da bere”.
Perchè, secondo Lei, la sinistra è da tempo minoritaria nella capitale del riformismo e un po’ in tutto il Nord?
Perché non è riuscita ancora a rappresentare una proposta alta e credibile, senza inseguire le mire di potere e la ricerca del facile consenso costruito sulle paure, che caratterizzano il centrodestra.
Famiglie, anziani, giovani. Quali sono i cardini della sua politica sociale?
Una politica sociale è una politica che parta dal riconoscimento e dalla garanzia dei diritti fondamentali della persona, fra cui quello a formare una famiglia e al rispetto della vita familiare, e che persegua la giustizia, operando concretamente per rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono il “pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese”, come dice l’articolo 3 della Costituzione.
Produttività e imprese: cosa deve fare un’amministrazione per incentivare lo sviluppo economico sul territorio?
Favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro; combattere attivamente il lavoro nero; combattere le infiltrazioni mafiose nel mondo delle imprese. Costruire un’amministrazione che risponda in modo efficiente alle esigenze delle imprese e di chi vuole costituire nuove imprese, semplificando e facilitando le procedure. Sollecitare e collaborare col mondo delle imprese per la realizzazione di iniziative e programmi di pubblica utilità.
Come si coniuga, secondo Lei, l’Expo 2015 con ciò che è bene e bello per i cittadini?
L’Expo dovrebbe essere non tanto un evento passeggero quanto l’occasione per costruire a Milano luoghi, centri di ricerca e di iniziativa stabili che si occupino fattivamente dei temi della fame nel mondo e dell’uso dell’energia, in una prospettiva non limitata agli interessi immediati dei paesi industrializzati, ma guardi agli interessi essenziali dell’intera umanità.
Come mai l’Italia è fra i paesi che meno contribuiscono (almeno a livello degli enti pubblici) agli aiuti ai paesi meno sviluppati? L’area dell’Expo va riqualificata e resa, per il dopo, urbanisticamente valida per la città, non facendo dell’evento un’occasione di nuove speculazioni immobiliari.
Spesso si parla di sussidiarietà. Per lei è un valore? Ci indichi un esempio di sussidiarietà in azione.
Sussidiarietà è un termine polisenso e talora ambiguo: sussidiarietà “verticale” o “orizzontale”? Quanto a quella “verticale”, il principio è buono (poteri di decisione al livello più vicino possibile ai cittadini) ma può essere usato anche al contrario in nome di esigenze unitarie (l’”attrazione in sussidiarietà” che ha giustificato tanti interventi statali in materie di competenza regionale). Quanto a quella “orizzontale” (il pubblico non si sostituisca a ciò che può essere fatto dai cittadini), è giusto sottolineare che “sociale” non equivale a “pubblico”: c’è il “privato sociale”, che è prezioso come luogo di iniziativa e collaborazione, specie per affrontare situazioni sociali difficili.
Si pensi per esempio alle comunità che operano nel campo delle dipendenze. Ma è pericoloso intendere la sussidiarietà come scusa per delegare ai privati la cura di doveri e interessi della comunità (tipo “a dare alloggio ai rom ci pensi il grande cuore di Milano”), abdicando, da parte delle istituzioni pubbliche, al compito e al dovere di programmare, indirizzare e controllare gli interventi, e di garantire i diritti di tutti, e quindi smantellando o indebolendo strutture e servizi pubblici.