CASE POPOLARI/ Il Tribunale dà ragione a 10 Rom: Moratti e Maroni rispettino gli accordi
Il Tribunale civile di Milano ha dato ragione a dieci rom che avevano fatto ricorso perché venissero rispetti gli accordi che assegnavano loro degli alloggi popolari

Il Tribunale civile di Milano ha dato ragione a dieci rom che avevano fatto ricorso perché venissero rispetti gli accordi che assegnavano loro degli alloggi popolari.
Dieci rom del campo di via Triboniano, a Milano hanno vinto il ricorso presentato presso il Tribunale civile contro il sindaco Letizia Moratti, il ministro dell’Intero Roberto Maroni e il prefetto Gian Valerio Lombardi. I rom avevano chiesto che fossero assegnate loro alcune case popolari, come previsto da un progetto di autonomia abitativa siglato e, successivamente bloccato dal Comune. Al centro dell’accordo c’erano 25 abitazioni che, secondo l’intesa tra Comune e Prefettura sarebbero dovute essere destinate ai rom. Il giudice Roberto Bichi ha disposto che gli alloggi dovranno essere messi a disposizione «entro e non oltre il termine del 12 gennaio 2011» e che fino ad allora i rom non potranno essere sgomberati dal campo.
I legali delle persone interessate, impugnando l’accordo e riferendosi ad alcune dichiarazioni del ministro avevano fatto presente che «Maroni affermò che i ricorrenti (come gli altri destinatari dei 25 alloggi) non avrebbero potuto acquisire gli alloggi indicati nei rispettivi progetti, bensì altri, che sarebbero stati reperiti facendo leva “sul gran cuore di Milano”». Trascorso un mese dalle dichiarazioni di Maroni, scrivono ancora i legali, i rom «non hanno potuto fare ingresso negli alloggi loro assegnati» mentre il Prefetto «non ha più convocato alcun abitante del campo di via Triboniano per la sottoscrizione dei progetti di autonomia».
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A motivare la sentenza del giudice, l’aggravante, secondo il magistrato, del razzismo,ovvero il fatto che le case non fossero state assegnate «in dipendenza dell’origine etnica». Secondo Bichi, «il diniego all’attuazione delle convenzioni riguarda esclusivamente tutti i soggetti accomunati dall’appartenenza alla medesima etnia» e si reso necessario «impedire che possano trovare spazio nel circuito sociale condotte che, anche indirettamente, determinino una situazione di svantaggio o impediscano il raggiungimento di un legittimo vantaggio a persone, in dipendenza dell’origine etnica».
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