La solerte risposta del Governo ai casi di corruzione venuti alla luce nel mese appena trascorso merita qualche nota illustrativa. In primo luogo è utile ricordare che il cd. disegno di legge anticorruzione, approvato oggi in Consiglio dei Ministri, dovrà essere messo a punto in commissione ristretta, approvato dal Capo dello Stato e solo allora potrà iniziare il suo iter parlamentare; niente di immediatamente efficace, dunque, se non come manifestazione della volontà politica di porre fine a quanto di illecito si va scoprendo.
In alternativa, il Governo era stato invitato dal giustizialismo nostrano a emanare un decreto legge, scelta peraltro assai problematica se non per il suo potenziale valore di deterrente, visto che per tutte le leggi – ma per le norme penali in particolare – vige la regola della irretroattività (si legga: i corruttori e i corrotti di oggi saranno processati con le norme oggi in vigore) Il contenuto si articola su tre capitoli.
Uno è stato predisposto dal Guardasigilli Alfano e contiene l’inasprimento delle pene e alle aggravanti per i reati contro la Pubblica amministrazione. Il secondo, di competenza di Calderoli, si occupa delle modifiche al Testo Unico sugli Enti Locali introducendo controlli sugli stessi nonchè la ineleggibilità alle cariche pubbliche per i condannati per detti reati. Il terzo capitolo, di competenza di Brunetta, contiene norme relative all’incremento della trasparenza e dell’efficienza nelle procedure amministrative, quali la pubblicazione su internet di informazioni relative ad appalti pubblici, concorsi e progressioni in carriere, il vero deterrente – secondo alcuni – contro la corruzione.
Una parte non secondaria del provvedimento, dunque, come testimonia il fatto che proprio l’assenza di tali norme aveva portato, il 18 febbraio scorso, a rinviare l’approvazione del ddl; qui si prevede – tra l’altro – un Piano nazionale contro la corruzione, coordinato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, in cui ciascuna amministrazione dovrà mettere per iscritto il grado di esposizione al rischio corruzione dei propri uffici, e un Osservatorio della corruzione nella PA con compiti di analisi e di informazione.
Posto che un Osservatorio su un tema scottante non lo si nega mai a nessuno, si tratta – nell’insieme – di strategia assai promettente. Occorre però che ad attuarla siano poi gli uomini giusti: il fattore umano e il sostrato culturale risulta quasi sempre fondamentale (quanto sottostimato) perché si abbiano condotte corrette e un’azione amministrativa legale.
Durante la discussione odierna in Consiglio dei Ministri il Ministro Calderoli ha avanzato la proposta (approvata) di estendere l’ineleggibilità per cinque anni (da molti critici ritenuti troppo pochi), prevista per i livelli locali, alle elezioni per Camera e Senato per coloro che fossero stati definitivamente condannati per i reati sopra ricordati.
L’elenco di tali reati, previsto all’art. 58, lettera B del TU.EELL, che comprende il peculato, il peculato mediante profitto dell’errore altrui, la malversazione a danno dello Stato, la concussione, la corruzione per un atto d’ufficio, la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, la corruzione in atti giudiziari, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio del codice penale, è stato qui ampliato e, se approvato, comprenderà anche l’attentato alla Costituzione, l’attentato contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato, le associazioni sovversive o con finalità di terrorismo, e – in relazione alla vexata questio degli appalti – la turbata libertà degli incanti.
L’estensione della ineleggibilità per i deputati e i senatori contattati è una risposta concreta alle sollecitazioni del Presidente della Camera che, nei giorni scorsi, aveva proposto l’ineleggibilità per chi fosse stato rinviato a giudizio; per attenuare la grave sottovalutazione della presunzione di innocenza in tal modo compiuta, Fini aveva affermato che, in fondo, si sarebbe trattato solamente di “stare fermi un giro”.
La previsione sulle cd. “liste pulite” resta comunque qualcosa di relativo al futuro che, in quanto tale, è sempre incerto, così come illusorio sarebbe pensare di risanare la politica senza una precisa presa di coscienza degli uomini politici circa i loro compiti e il loro ruolo sociale. Sempre per “risanare” la politica, è infine prevista la “incandidabilità” dei vertici politici regionali e locali che abbiano portato al fallimento il proprio ente. Norma assai opportuna, questo va detto, che anticipa il federalismo fiscale ma… attenti a non scivolare sulla metafora!
In merito al cd. fallimento politico, il Ministro Alfano avrebbe affermato essere un modo per portare i libri della Regione non in tribunale, come nel caso di fallimento delle imprese, ma direttamente al popolo. Peccato che in questo caso il popolo non avrà modo di pronunciare alcuna sentenza, visto che il candidato uscente e fallito non è più candidabile.