La Camera di Commercio di Milano ha rilasciato alcuni dati relativi al costo della vita nel capoluogo lombardo. Dati preoccupanti: vivere a Milano costa più di 400 euro rispetto al resto del nostro Paese. Questa percentuale è costituita dal 15,7% in più per quel che riguarda il costo della casa, il 13,5 per gli alimentari e il 9,9% per i trasporti. Ci sono altre voci, in questo documento di Camera di Commercio, ad esempio scende il consumo di carne e di pesce, mentre mantenere i figli in casa costa in media 700 euro in più al mese rispetto alle altre città italiane. Ma, stando ai dati, anche per i single la vita non è facile. Infine: una famiglia su sei deve ricorrere al sostegno economico, sostengo che arriva unicamente da genitori o suoceri, non certo dal Comune. IlSussidiario.net ha chiesto a Luca Pesenti, docente di di programmazione del welfare locale all’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, di commentare questi dati. “Non sono certo una novità” dice. “Si sa da tempo che il costo della vita a Milano è alto, più di altre città, ma è così per tutti i grandi centri metropolitani. In realtà più che indagare le cause di questo, c’è da chiedersi cosa fare per rimediare”.
Non è una novità che Milano sia la città più cara d’Italia dunque. Ci riassuma i motivi.
Nei grandi contesti metropolitani la vita costa sempre di più per il semplice motivo che si vengono a concentrare le attività lavorative di molte persone e questo rappresenta una forma di attrattiva. Quindi in tutti i grandi contesti metropolitani la vita costa di più: c’è maggior domanda e il prezzo dell’offerta cresce. E’ una banale dinamica di domanda e offerta.
Secondo lei si è mai tentato di ovviare a questa situazione?
Il piano regolatore di territorio della precedente giunta, adesso sotto revisione da parte della nuova amministrazione Pisapia, aveva un elemento che tendenzialmente almeno nei desideri andava a tentare di risolvere questa situazione.
Quale elemento?
L’ipotesi di aumentare le volumetrie in città, aumentare cioè il numero di appartamenti disponibili. Aumentando la domanda ciò avrebbe spinto a un contenimento della spesa. Questo adesso non si sa se accadrà, ma rimane un dato inesorabile. Il vero tema è come si risponde a questo, porsi prima o poi il problema di che cosa significa affrontare il costo della vita in diversi contesti.
Lei cosa suggerisce?
Di base, io credo che debba essere incentivata la contrattazione di secondo livello, in modo tale da uscire dalla logica del contratto unico nazionale, logica prevalente in molti settori produttivi ed economici del nostro Paese. Passare a una contrattazione diversificata fortemente localizzata per differenziare gli stipendi, per incentivare questa differenziazione. Un tempo c’erano le gabbie salariali, la Lega oggi propone le gabbie previdenziali per differenziare anche dal punto di vista della previdenza gli interventi. Non è facile, è un grande tema del welfare.
Le drammatiche difficoltà di tante famiglie milanesi: si può dire che mancando una politica a favore della famiglia a livello nazionale, manchi anche a livello locale milanese?
Ovvio: se una famiglia su sei ha bisogno dell’aiuto economico, se una famiglia su dieci a Milano vive in condizioni di povertà, vuol dire che manca una politica a sostegno della famiglia. E’ un dato di fatto che però nasce d da come è immaginato il sistema fiscale in Italia che non prevede nessun tipo di intervento se non molto blando di ridistribuzione a partire dai carichi familiari. Il fatto che le due nazioni dove ci sono forme di fiscalità a favore della famiglia e cioè Francia e Germania sono anche le due nazioni che stanno resistendo meglio alla crisi economica vorrà pur dire qualcosa anche se nessuno sembra accorgersene.
A intervenire dovrà essere lo Stato allora, non il Comune di Milano.
Certo, è un tema che un Comune o una Regione non possono affrontare: a risolverlo ci deve pensare lo Stato con una diversa distribuzione dei carichi fiscali. Da quanto annuncia il nuovo governo Monti purtroppo sembra che non sarà così. L’annuncio che ci sarà la reintroduzione dell’Ici sulla prima casa va contro a questa preoccupazione. Si continua a colpire nel mucchio invece di fare vera equità. Continuiamo a sperare in un cambio di passo: il governo ha annunciato un taglio della tassazione del lavoro, speriamo che si trasformi effettivamente in una busta paga più pesante, ma il vero tema resta quello della trasformazione del piano fiscale in direzione di sostegno della famiglia, l’unica cosa che può risolvere il problema.