“Non sono un uomo da copertina” dice di sé. E infatti, non ci vuole molto ad accorgersene, Erminio Bonanomi è persona schiva, riservata, aliena dalla mondanità, anche poco conosciuta se non nel ristretto perimetro della sua terra d’origine. Non si è mai allontanato dalla natia Pagnano dove è nato nel 1968, “un borgo minimo, nascosto nelle svolte che da Merate conducono a Montevecchia”, come è stato definito. Ad ogni appuntamento si presenta vestito in modo sportivo semplice, ha i capelli castani divisi da una scriminatura e due ciuffi che gli ricadono sugli occhi.
Quella della scrittura è per Erminio (Mimmo per gli amici) più che una passione una vera malattia: con L’imbalsamatore è giunto al ventiduesimo titolo, che vuol dire in media ben due all’anno, tutti editi con un discreto successo di critica e di pubblico, che spaziano dalla storia locale al romanzo, ai libri per l’infanzia, saggi e romanzi. Scrive per lo più nelle ore notturne, visto che di giorno è occupato, come tutti, in una attività lavorativa e ha degli impegni familiari; da alcuni anni poi fa il catechista nella sua parrocchia.
Solo che l’attività lavorativa non è proprio di quelle più prevedibili per uno scrittore: fa il pizzaiolo. Lo si può trovare tutti i giorni nella grande pizzeria- ristorante del paese, progettata e costruita anni fa dal papà che ora non c’è più.
L’originalità di Bonanomi sta anche nel suo essere autodidatta; egli non è andato molto avanti negli studi regolari né ha seguito corsi di scrittura, ma si è sempre dedicato, anticonformista com’era già, in un’età in cui i più tendono a passare il tempo in modo futile, alla lettura e allo studio. Da ragazzo, sotto la rigida istruzione del padre, ha anche imparato a fare un po’ di tutto: il muratore, il falegname, il fabbro, l’idraulico e l’elettricista.
Dopo essersi avvicinato al mondo delle arti, alla scultura, alla pittura, alla musica che tanto lo affascinava, c’è la svolta: Bonanomi comincia a scrivere. La sua “carriera” letteraria inizia nel 1995 quando, colpito da alcune scritte di quelle che vengono vergate sui muri, decide di raccogliere le più interessanti in un libro, Parole al muro,che inaspettatamente ottiene un grande successo.
Da allora riesce a congiungere felicemente la creatività letteraria con la realtà del lavoro manuale.
L’imbalsamatore – il titolo evoca del tutto casualmente quello di un film- è l’ultimo romanzo, per ora, ma già l’autore annuncia il prossimo, che avrà a che fare con la figura di Giuseppe Garibaldi.
Uscito nel maggio 2010 presso l’editore Bellavite di Missaglia (Lc), è un corposo thriller di più di 300 pagine e recita nel sottotitolo: non sempre le cose sono come sembrano, verità ovvia per ogni giallo che si rispetti. La storia, ambientata nel meratese, terra brianzola a metà strada tra Milano e Lecco, si dipana in un intreccio avvincente di eventi incredibili che coinvolgono i carabinieri – e vedremo in particolare uno- della locale stazione, i quali ben presto giungono all’ipotesi di un serial killer di cui però si ignorano identità e motivazioni, l’imbalsamatore appunto.
Nonostante il monito di copertina “Anime fragili state lontano da questo libro“, la scrittura è piana e piacevole, appassionante ma aliena dal gusto dell’orrido o dai toni forti che spesso caratterizzano il genere.
Alla fine della lettura, l’ultima sorpresa per il lettore, oltre ovviamente alla soluzione del giallo, sono i vari ringraziamenti: agli editori, a chi ha offerto consulenza tecnica o consigli; particolare questo che getta ancora luce sull’autore, caratterizzato da una modestia semplice e vera.
Entrando nello specifico del romanzo, che si inserisce nel filone del police procedural, la storia racconta le inquietanti vicende di un misterioso serial killer animato da un odio profondo nonché da un tremendo desiderio di vendetta nei confronti di una persona e, come se questo non bastasse, da un gusto piuttosto macabro al limite della necrofilia: egli infatti cura in modo quasi ossessivo l’aspetto estetico delle sue vittime, tutte ragazze giovani e carine, e le imbalsama prima di farle trovare legate al tronco di un albero di uno dei numerosi boschi della zona.
Ovviamente i delitti suscitano una serie di interrogativi e perplessità in paese, in primo luogo perché le indagini si svolgono in un ambito abbastanza ristretto e poi perché l’assassino sembra riesca a passare del tutto inosservato, come se fosse trasparente; poi però il maresciallo dei Carabinieri Martin Zagato, incaricato delle indagini, riesce a trovare in modo fortunoso un indizio fondamentale che lo mette sulla strada giusta per arrivare alla soluzione del mistero.
All’interno del romanzo c’è anche la sorpresa di un’inattesa vicenda sentimentale che tutto lascia pensare si concluda con un lieto fine. Alla fine della narrazione si verifica anche un bel colpo di scena che nulla lasciava presagire ma che non è poi così raro nella cosiddetta letteratura gialla. Si può quindi dire che ci sia un discreto uso della tecnica della suspance nell’intero testo e, oltre a questo, una buona tensione narrativa soprattutto nelle pagine conclusive.
Se invece proprio si deve trovare un piccolo difetto a questo thriller, è che gli indizi che conducono all’identificazione del colpevole non sempre sono mascherati in modo adeguato e un lettore esperto comincia ad avere il giusto sospetto ben prima delle ultime pagine. Però, visto che si tratta della prima esperienza in fatto di gialli dello scrittore, egli di sicuro avrà tutto il tempo, la voglia e la capacità di affinare le proprie abilità in questo intrigante genere.
(Teresa Martellini e Silvana Raposelli)