Il tema delle “eccellenze”, tendenzialmente legato alla discussione sul merito, è molto presente sui media. Viene sempre legato all’influsso che la crisi ha sulle politiche del lavoro, dando una visione molto parziale di questo argomento. Si afferma che l’unico modo per costruire nuovi posti di lavoro sia un incremento della produttività e in una nazione povera di materie prime e grandi aziende bisogna guardare alla costruzione di prodotti di qualità superiore.
Si innesca una sorta di catena di montaggio per cui attraverso un sistema di standard qualitativi avremo lavoratori migliori capaci di trainare la nostra ripresa economica. L’aspetto più importante è quale definizione diamo di termini come “eccellenza”, “merito” e “qualità”. Il processo può essere corretto, ma non sarà mai fecondo se non si fa chiarezza su questo.
Milano è forse la città che regala più spunti e più “sostegno” a chi vuole affrontare questa sfida: era ed è il centro economico del nostro Paese. Questo successo (che qualcuno riesce ancora a contestare) da cosa proviene? Chi lo ha costruito? Queste sono le domande, questo è il metodo che voglio utilizzare per dare contenuto ai termini citati in apertura.
Nell’affrontare questa sfida parto sempre dall’insegnamento di mio padre, un uomo che viveva profondamente il suo essere “milanese d’adozione”. Lui è sempre stato dedito al lavoro, pronto al sacrificio, meticoloso fin quasi all’ossessione, non per una ricerca di riconoscimento o profitto, ma per la dignità che dava al suo fare.
La storia economica della nostra città e ci consegna proprio questo: un grande spirito di sacrifico, legato però a motivi ideali. Fare bene per l’importanza che ha l’azione del singolo, per la gioia che un lavoro ben fatto, prima del compenso dona a ciascuno. Penso che questo “metodo” possa dunque ridefinire eccellenza e merito riempiendole di umanità. Produce prodotti di alta qualità chi si immerge nella sfida del fare impresa con questo metodo. Mi spingo oltre: solo chi lavora con questa passione raggiunge l’eccellenza “milanese”. Il resto è estraneo ai nostri valori e si qualifica come sola capacità tecnica, utile, ma non necessaria, soprattutto in un momento storico in cui si deve recuperare una vera etica del lavoro.
Sarà così possibile continuare a costruire una Milano grande, di cuore e ingegno. Sarà così possibile continuare a essere capitale del lavoro e dell’innovazione sposando il nuovo e l’antico perché per dirla con Claudel: «la più fedele di tutte le fedeltà consisterebbe nel trasportare il pensiero del maestro, nel trasferirlo, nel tradurlo, nel trascriverlo, in un altro linguaggio man mano che i tempi si succedono e che i linguaggi si perfezionano».