Andrea Mastrovito è un ragazzo di 32 anni, bergamasco purosangue. È artista lanciatissimo. Ha esposto anche a New York, e settimana prossima è chiamato a una performance, dedicata alle Cinque giornate di Milano, al museo del 900. È un personaggio di una vitalità travolgente, capace di passare da una tecnica all’altra con grande controllo dei mezzi. Lo scorso anno Andrea Mastrovito aveva partecipato alla rassegna Giorni Felici organizzata a Casa Testori a Novate: una mostra che prevede di affidare ognuna delle 22 stanze della grande casa che fu dello scrittore ad altrettanti artisti, selezionati tra nomi celebri e giovani, anche alla prima uscita. Un mix che ha dimostrato di funzionare benissimo, in pieno spirito “testoriano”.
Al termine della visita ai 3500 visitatori che sono passati nelle sale si chiedeva di mettere nell’urna una scheda con la stanza preferita. Ebbene, Andrea Mastrovito alla fine ha stravinto, con oltre 500 preferenze. Per questo oggi Mastrovito torna a Casa Testori per una mostra che questa volta vede solo lui come protagonista delle 22 stanze. Era una sfida improba, alla quale il sottoscritto in quanto responsabile del progetto, guardava con timore. Ma è stata una sfida che l’artista bergamasco ha affrontato invece con un coraggio da leone: chi visiterà la mostra (aperta sino all’8 maggio) potrà bene accorgersene, perché la mostra è una sequenza di situazioni assolutamente sorprendenti ed emozionanti.
Ma quello che più sorprende e che fa riflettere, è la sintonia che un artista classe 1978, con una formazione così globale e ormai internettiana ha saputo creare con il personaggio a cui questa casa è legata: cioè Giovanni Testori. Mastrovito non sapeva molto di lui prima buttarsi nell’avventura, ma passo per passo, scoprendo la funzione che le varie stanze avevano avuto in un passato che appartiene ormai ad un altro secolo, è riuscito ad accendere dei link profondi e mai scontati con la propria vita e con la sensibilità di oggi.
Prendiamo il titolo della mostra, Easy come, easy go (Facilmente vengo, facilmente vado). È tratta da una canzone dei Queen, quella che Testori amava sopra tutte le altre, Bohemian rapsody. A quella canzone, che lui stesso ama, Mastrovito ha dedicato una stanza, ma quel verso è soprattutto diventato il filo conduttore della mostra, come riflessione sulla transitorietà della vita, sulla fragilità dell’uomo che non preclude esperienze di forza e di bellezza.
Emblematica la scelta che l’artista ha fatto per l’ambientazione della veranda della casa: le tapparelle delle tre grandi finestre sono state lasciate socchiuse in modo da far trapassare la luce tra le fessure. Poi con vari procedimenti Mastrovito ha chiuso i buchi di luce in modo da disegnare tre croci a tutta altezza, inscendando così una deposizione. Spiegando in catalogo la sua scelta, Mastrovito ha detto di essere rimasto colpito dal fatto che quella veranda, affacciata sul giardino, fosse il luogo dove venivano esposte le persone della famiglia per l’ultimo omaggio. «Easy go», appunto. Certo stupisce che un artista scatenato, ipermoderno e quasi bulimico come lui, abbia ritenuto di doversi soffermare su un particolare come questo. Come avesse intercettato in quel luogo e in quel legame tra un grande intellettuale e la sua famiglia, un punto di verità e di fascino che può far breccia anche in una società disgergata come quella di oggi.