«Fin dall’inizio abbiamo dimostrato di essere un’impresa sociale attiva sul territorio e in costante collaborazione con le amministrazioni, mantenendo sempre una forza, un’identità e una capacità propositiva che ci ha permesso di non fare affidamento solo sui finanziamenti dell’ente pubblico». Antonello Bolis, intervistato da IlSussidiario.net, è il direttore della cooperativa Cura e Riabilitazione nata nel 1989, che porta avanti la sua azione di sostegno ai disabili e alle loro famiglie in modo innovativo, attraverso il riconoscimento della dignità della persona, ruotando intorno alla libertà del soggetto e favorendone quindi l’iniziativa. Nel 1994, da un’ala ristrutturata dalla cooperativa stessa, nasce il Centro Cardinale Colombo, un centro diurno per disabili a Milano, quartiere Niguarda: «Solo la ristrutturazione – ci spiega Bolis – è costata circa 900 milioni di lire e abbiamo ottenuto un contributo pubblico di 350 milioni. Tutto il resto è stato recuperato attraverso un’attività di ricerca fondi. Abbiamo stipulato una convenzione con il Comune di Milano, sempre molto disponibile, che ci ha permesso di dare inizio a quest’attività rivolta alle famiglie e alle persone disabili al loro interno. Però fin da subito, come dicevo, abbiamo proposto una modalità innovativa di approccio, che andava oltre quegli standard previsti dalle normative».
Per esempio?
Abbiamo proposto e convinto tutte le famiglie ad accettare in un’ottica educativa una frequenza part-time anziché a tempo pieno, che ha significato accogliere 28 famiglie invece di 15. Abbiamo promosso stage all’interno dell’azienda per persone non collocabili nel mondo del lavoro e realizzato nel 2002 una residenza temporanea per l’accoglienza di persone disabili che ha visto fino a oggi circa 8.000 presenze. E poi, insieme ad altre cooperative, abbiamo creato il laboratorio teatrale.
Di che si tratta?
È una vera e propria compagnia teatrale composta da persone disabili che ha portato in scena spettacoli come Giamburrasca, la Divina Commedia, la Turandot e West Side Story nei più importanti teatri di Milano, riempiendoli ogni volta.
La cosa veramente importante è che tutte le attività che ho elencato non sono previste dalla attività ordinaria dell’ente pubblico: sono ulteriori progetti che ritenevamo fossero utili e necessari, per cui però è stato necessario ricercare dei fondi. Se avessimo dovuto attenerci alle disposizioni dell’ente pubblico non avremmo mai potuto realizzarli.
Ritiene che la sfera pubblica non vi abbia sostenuto a dovere?
Le istituzioni hanno sempre riconosciuto l’importanza di queste nostre attività. In questi anni il dialogo con l’amministrazione è sempre stato positivo, abbiamo trovato interlocutori attenti che hanno valorizzato spesso le nostre proposte. Devo riconoscere che, nonostante le tante criticità che ci possono essere, l’amministrazione comunale si è impegnata molto per non penalizzare i servizi alle persone disabili, cercando di evitare di effettuare tagli delle risorse a questo settore. È un momento difficile per tutti però l’impegno per evitare di far ricadere sui disabili questa oggettiva crisi è stato importante.
Ci sono però stati dei tagli da parte del governo ai fondi per le politiche sociali.
I nostri servizi si caratterizzano appunto per le convenzioni dell’ente pubblico e questo comporta un contributo sanitario e sociale. Su entrambi questi fondi i recenti tagli creano una difficoltà oggettiva. Per esempio, con il contributo di tipo sanitario dobbiamo rimanere sui budget attuali che fino ad ora ci hanno permesso un buon funzionamento dei servizi, però dobbiamo essere sempre molto prudenti a parlare di uno sviluppo dell’attività. La domanda è crescente, il bisogno non è statico e se le risorse a disposizione sono queste purtroppo dovremo negare l’aiuto a nuove famiglie, che saranno le uniche a rimetterci.
Che tipo di servizi offrite in questo momento?
I ragazzi disabili e le loro famiglie sono gli interlocutori principali a cui ci rivolgiamo. Sul territorio abbiamo poi attivato una vasta attività di volontariato, grazie a tante persone, che vanno dai giovani universitari ai pensionati, che formano la nostra rete di volontari che sostiene le attività collaterali. Non abbiamo mai preteso niente dall’ente pubblico o voluto rivendicare dei privilegi, ma quando pensavamo che fosse necessario realizzare qualcosa per i ragazzi che andasse oltre la sfera pubblica lo abbiamo fatto, creando progetti che potessero avere un piano di sostegno adeguato. Non ci siamo posti mai come soggetto passivo, ma abbiamo agito sempre attivamente. Grazie a questa capacità di risposta al bisogno, oggi la cooperativa gestisce due centri diurni, due comunità residenziali, altri servizi di orientamento al lavoro e progetti individuali per persone disabili a Milano e fuori.
Che cosa dovrebbero fare le istituzioni di meglio?
Offrire un ascolto maggiore ai protagonisti del terzo settore che sono più vicini ai bisogni sempre più vasti e complessi della gente ed evitare di dividere i settori a compartimenti stagni lasciando la persona frammentata. Gli importanti strumenti che sono stati messi in campo devono essere sostenuti da qualcosa che possa mettere insieme il pensiero e l’iniziativa delle attività sociali con quello dell’ente pubblico, per evitare che il terzo settore non si trasformi in un semplice fornitore di servizi, ma che resti una risorsa e una ricchezza che risponda in maniera puntuale e capillare dove c’è bisogno.
Cosa chiederebbe al prossimo sindaco di Milano?
Di non pensare che il terzo settore si voglia sostituire all’ente pubblico. Non intendiamo sostituirci a nessuno e non vogliamo essere considerati solo per i vantaggi economici che possiamo portare, ma chiediamo che ci sia spazio per un’identità culturale che rappresenti una ricchezza per la città, che metta insieme soggetti diversi, ma accomunati dalla capacità di rispondere al bisogno. Quindi al nuovo sindaco chiederei di non usarci ma di trattarci alla pari come un interlocutore credibile, qualificato e capace.
(Claudio Perlini)