“Unexepected Israel”: si terrà a Milano dal 12 al 23 giugno, in Piazza Duomo, e sarà una rassegna che mostrerà agli italiani come Israele non possa essere identificato con il conflitto mediorientale, ma, tra le altre cose, vanti un produzione culturale senza la quale il mondo contemporaneo sarebbe molto più povero. L’Israele che non ti aspetti, appunto. L’intento era chiaro. Ma, a far da sfondo all’imminente evento, sono state le polemiche; di chi, anzitutto, pretendeva che a Israele non venisse data la cittadinanza per realizzare la kermesse. Da numerosi siti antagonisti sono giunti attacchi indiscriminati e minacce di vario genere, mentre Filippo Bianchetti del Comitato varesino Palestina, è arrivato a dichiarare: «Non si può festeggiare un Paese criminale. È una provocazione».
Il neo-sindaco Giuliano Pisapia, dal canto suo, sebbene alla fine abbia dato l’ok alla manifestazione, inizialmente è apparso – a detta di molti – piuttosto tiepido nell’appoggiarla e nel difenderla dagli attacchi. Tanto che, in principio, si era prospettato di spostarla tra le mura del Castello Sforzesco. Per ragioni di sicurezza. Successivamente rientrate.
Di tutto ciò abbiamo parlato con Fiamma Nirenstein, giornalista, scrittrice, attualmente Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati e, di recente, inserita dal Jerusalem Post tra i 50 ebrei più influenti del mondo insieme a Mark Zuckerberg inventore di Facebook, Benyamin Netanyahu, primo ministro israeliano e Shimon Peres, Presidente dello Stato d’Israele.
Cosa si aspetta dalla mostra milanese?
Che metta in luce i magnifici e progressivi risultati della terra di Israele e della sua bellezza. Grandi risultati tecnologici, anzitutto: Israele è tra i paesi che maggiormente hanno contribuito a tutti gli sviluppi evolutivi del computer; ha prodotto le più raffinate cure per malattie considerate incurabili, dal cancro all’alzheimer; ha dato vita alle più avanzate tecniche di utilizzo e conservazione dell’acqua, tanto da esser stata in grado di rendere fertili terre un tempo deserte. Ha prodotto, inoltre, una letteratura famosa in tutto il mondo (tra i più famosi scrittori del Paese, David Grossman sarà presente alla mostra). Vanta, infine, bellezze paesaggistiche di raro splendore: in pochi chilometri il Paese accoglie scenari che vanno dalle alte montagne per sciare ai classici deserti mediorientali. E, poi, c’è Gerusalemme, che nessun essere umano dovrebbe morire senza aver visto almeno una volta.
Cosa risponde a chi ha tentato di bloccare la manifestazione?
Mi piace immaginare che la maggior parte di queste persone sia semplicemente ignorante e non malintenzionata. In linea generale c’è su Israele un uso sconsiderato delle parole. E’ stata usata, ad esempio, nella lettera del Comitato, la parola Apartheid. Ebbene: dalla Knesset (il parlamento israeliano) agli ospedali, dalle università a tutti gli altri luoghi della convivenza civile, vi è una mescolanza inedita di ebrei, arabi e cristiani, drusi e circassi. Gli ebrei stessi, inoltre, fanno parte di tante etnie.
E di “Israele stato criminale”, cosa ne pensa?
A Israele si rinfaccia l’aggressività. Ma si è sempre e solo trattato di difesa. Fin dal’48, quando l’Onu, in seguito allo sterminio nazista, affidò agli ebrei superstiti una porzione di terra per crearvi uno stato, ma tutti gli Stati arabi non accettarono ciò che il resto del mondo aveva votato e attaccarono Israele.
Molti degli aderenti ai gruppi che avversano la mostra provengono dai centri sociali o dalla sinistra estrema. Perché in tali settori, come in altre parti d’Italia, va di moda essere anti-israeliani?
Si tratta di una malattia infantile del comunismo, che la sinistra odierna ha ereditato. Un odio anti-israeliano che ha radici nella Guerra fredda, quando l’inimicizia che esisteva tra l’Unione sovietica e gli Stati Uniti era stata proiettata su Israele. In molti si era radicata la convinzione che il Paese fosse uno stato filo-americano, imperialista, invasore del Medioriente. Questa era, all’epoca, la linea adottata dall’Unione sovietica. Sempre per eredità sovietica, il mondo, per queste persone, è diviso tra i capitalisti borghesi, oppressori dei più poveri da una parte, e i poveri del mondo, dall’altra, ovvero gli africani, gli asiatici e i musulmani.
Cosa ne pensa dell’atteggiamento assunto dal neo-sindaco Pisapia?
Avrebbe dovuto appoggiare totalmente l’iniziativa, per far capire da che parte stava. Avrebbe potuto dimostrare a tutti di essere un sincero democratico, un anticonformista, privo di paura. Era un’occasione da cogliere per far capire di che pasta è fatta un uomo. C’è da dire che, alla fine, ha compreso che la posizione di tiepidezza assunta all’inizio, con l’idea di spostare la mostra all’interno delle mura del Castello Sforzesco, fosse insostenibile. E’ evidente che si sarebbe trattato di una lesione eccessiva della libertà di espressione e di opinione.
Sì, ma perché, in principio, è stato “tiepido”?
Perché ha riconosciuto, in parte di quelle persone che volevano fermare la mostra, la gente con cui si dovrà mettere in relazione perché lo hanno votato. Probabilmente, inoltre, ha avuto paura della violenza che si sarebbe potuta scatenare. Questo lo capisco, perché è compito di un sindaco evitare, nella propria città, che si creino disordini. Ma, poste queste due ragioni, ce n’è una più grande: la difesa della democrazia e della libertà.
Crede che l’atteggiamento di Pisapia, in futuro, potrà incrinare i rapporti di amicizia con lo Stato israeliano?
Non esageriamo. Al massimo si potranno incrinare i rapporti con gli ebrei milanesi. Non credo, tuttavia, che questo accadrà. La mostra si terrà, andrà benissimo, vincerà la ragione. Del resto, in fondo, è stato detto un sì.
(Paolo Nessi)