La giunta comunale milanese che fa capo al sindaco Pisapia ha annunciato: entro l’estate sarà approvato il registro per le coppie di fatto. Uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del nuovo sindaco milanese, il piano ha visto nelle ultime settimane una forte accelerazione. La prossima settimana è infatti prevista la deposizione della delibera che permetterà l’inizio dell’iter che porterà poi alla eventuale approvazione in consiglio comunale del registro delle coppie di fatto. Che ha anche un nome, “Modello Milano”, in quanto si ispira al “Modello Torino”, approvato già due anni fa. La delibera, a firma di Marilisa D’Amico, docente di diritto costituzionale e presidente Pd della Commissione affari istituzionali, prevede però delle particolarità. Tramite l’iscrizione all’Anagrafe delle coppie di fatto si potrà infatti accedere a una serie di servizi garantiti dal Comune, come l’accesso alle graduatorie delle case popolari, ricevere i contributi al Welfare per l’affitto o il mutuo, la possibilità che il figlio di una coppia gay possa essere ritirato dalla scuola anche non dal genitore naturale, l’assistenza in ospedale. IlSussidiario.net ha contattato Silvio Magliano, vice-capogruppo Pdl al Consiglio comunale torinese, per farsi raccontare l’esperienza di due anni di “Modello Torino” sulle coppie di fatto. “Un fallimento” ci ha detto Magliano “se si tiene infatti conto che Torino ha circa 900mila abitanti, a tutt’oggi risultano iscritte al registro delle unioni di fatto solo 127 coppie”. Per Magliano, è l’evidente dimostrazione di un tipo di politica che vuole interpretare una società che di fatto non esiste e immaginarsi un popolo che fortunatamente non c’è.
Magliano, la giunta comunale milanese dice di volersi ispirare al Modello Trino per varare il registro delle coppie di fatto.
Non so cosa intendano, perché l’unico riconoscimento che il registro delle coppie di fatto di Torino ha fatto è quello del poter accompagnare e assistere in ospedale il compagno malato. Di tutto il resto di quanto ha in mente Milano non se ne parla nemmeno.
Forse per Modello Torino indicano un successo di numeri? In altre città come Bologna si registrano numeri praticamente inesistenti nel registro delle coppie di fatto.
In tal caso si sbagliano di grosso, perché se dessero le cifre del Modello Torino non ci farebbero una gran figura. Se vogliono dire che a Torino è nato un nuovo modello culturale, che è nata una democrazia fondata sui diritti dei diversi non direbbero che si sono iscritte 254 persone su 900mila abitanti.
Quante, scusi?
Allora: la delibera del registro delle coppie di fatto a Torino è stata approvata il 28 giugno 2010. Da allora, e sono passati quasi due anni, risultano iscritte 127 coppie di fatto. Di cui 87 coppie uomo-donna, 26 coppie uomo-uomo e 14 coppie donna-donna.
Sembrano un po’ poche…
E per di più neanche un extra comunitario ha usato questo strumento tipo potersi unire con la badante, perché non gli porta nessun diritto in più di quelli che hai già con una dichiarazione.Tenendo poi conto che ogni soggetto paga 30 euro di marca da bollo, si può dire che una unione di fatto costi 60 euro.
Ecco, i benefici che il registro delle coppie di fatto non portano, sono il tema scottante. Molti infatti non si iscrivono proprio perché non ne ricavano nulla.
I dati che abbiamo in possesso oggi mostrano un calo di queste unioni, delle persone cioè che vogliono entrare in questo registro per motivi affettivi. C’è un calo delle richieste, perché né a livello nazionale né a livello locale c’è alcun beneficio a entrare in questo registro. Nel caso di Torino l’unica valenza che si ha è che nel caso di assistenza sanitaria a uno dei due componenti la coppia, quello non malato ovviamente, che viene riconosciuto come membro della famiglia e può entrare in ospedale e prestare assistenza.
Perché secondo lei tanta insistenza nel voler varare questi registri che poi vengono bellamente ignorati.
Sono battaglie di alcuni che poi mettono delle bandierine su alcune tematiche, ma poi di fatto il cittadino medio non ne trae alcun beneficio. Sono iniziative del tutto strumentali. L’impressione poi è che queste 127 nuove coppie tranne qualcuna di quelle uomo-donna, siano fatte tutte da chi propugnava questa delibera. Che non è una cosa nata su un interesse diffuso, ma è nata come bandiera per dire anche a Torino c’è questo afflato di democrazia e di rispetto dei diritti umani, di chi vive una certa sessualità piuttosto che nel non riconoscersi nel vincolo del matrimonio.
Come ha vissuto questo dibattito la città di Torino e il consiglio comunale? C’è stato interesse o è qualcosa che è passato sopra le teste dei cittadini?
In città si è assistito a un certo dibattito, d’altro canto qui quando La Stampa parla di qualcosa si accende subito un dibattito, poi con l’intervento del sindaco Chiamparino il dibattito è aumentato.
In consiglio comunale che responso c’è stato?
Il dibattito in aula ha visto su 50 consiglieri la presenza di solo 31 di essi. I votanti sono stati 28 con 24 voti favorevoli. Buona parte dell’area cattolica anche della maggioranza di centro sinistra si è astenuta. Ci sono stati alcuni voti contrari in uno schieramento del tutto trasversale che andava dall’ex Margherita ad An e Forza Italia. Diede molto nell’occhio il caso dell’assessore che di fatto aveva questa delega fosse cattolico e avesse detto: io sono un soldato, la mia coscienza non centra nulla. Un ex esponente di Forza Italia passato in questa formazione molto forte a Torino, i Moderati. Diciamo che no è stato un buon esempio visto che aveva appoggiato parte della sua campagna elettorale sul valore della fede nella politica.
In conclusione, visto che Milano si avvicina a fare altrettanto, che giudizio dà di tutta questa vicenda?
Dico che è la tipica misura che dice di una politica che vuole interpretare una società che non è così. Una bandiera ideologica in cui pio dati reali non si comunicano nemmeno: non è mai stato fatto un report sul dato reale delle coppie di fatto a Torino. Si immaginano una città e un popolo che fortunatamente non c’è.