Introdotta a partire dal 2011 nel tentativo di riunire le diverse imposte precedenti in un’unica soluzione, ci si chiede adesso se la cedolare secca sia stata in realtà un vero fallimento. Si tratta essenzialmente di una nuova imposta sugli affitti introdotta a regime facoltativo per sostituire l’Irpef e le relative addizionali, l’imposta di registro e l’imposta di bollo, ma anche con l’obiettivo di far emergere gli affitti in nero e combattere l’evasione fiscale nel mercato immobiliare delle locazioni/affitti. L’imposta da pagare dipende dal tipo di contratto di locazione ed è pari al 21% del canone annuo per i contratti a canone libero e del 19% del canone annuo per i contratti a canone concordato su abitazioni situate in Comuni con carenze di disponibilità abitative oppure in quelli ad alta tensione abitativa. Questa nuova modalità avrebbe dovuto in teoria far entrare nelle casse dello Stato oltre due miliardi e mezzo di euro, eppure i conti relativi al 2011 e al 2012 sono ancora molto lontani da quanto prefissato. Insieme a Pierluigi Rancati, segretario regionale lombardo del Sindacato Inquilini Casa e Territorio-Cisl, parliamo della situazione del mercato dell’affitto lombardo e nazionale per capire quali siano al momento le maggiori criticità di un settore in netta difficoltà.
Segretario, cosa può dirci dell’attuale situazione?
Certamente la situazione attuale non è positiva. Paghiamo adesso le conseguenze e gli effetti di un mercato dell’affitto asfittico che anche in periodo di crisi come quello attuale riesce a non far registrare un calo rilevante dei prezzi. Il mercato degli affitti è ormai da tempo in fase di declino, a fronte di una domanda che invece è in continua crescita e che conseguentemente preme sui prezzi.
In che modo?
La domanda di un’abitazione in affitto resta importante e tendenzialmente crescente ma con un’offerta dell’affitto che invece è molto limitata. Di conseguenza i prezzi non calano anche in una fase di crisi come questa. Ogni tanto si registra qualche oscillazione ma nulla di paragonabile rispetto a quanto accaduto in altri Paesi a seguito dell’esplosione della bolla immobiliare.
Come si è arrivati a questo punto?
L’effetto della cedolare secca e di altri aggiustamenti sul piano fiscale hanno di fatto ridotto quella pure scarsissima differenza sulla convenienza tra la locazione libera e la locazione convenzionata e tra l’affitto e la sottrazione dal mercato. Esiste infatti una dimensione dell’invenduto molto importante che coesiste con la tenuta dei prezzi, anche se il settore teme che a breve possa esserci una flessione rilevante.
Crede dunque che la cedolare secca sia stato un flop?
La cedolare secca ha avuto in effetti un seguito modesto, ma il vero problema è un altro: se la proprietà continua ad avere la disponibilità di un regime a dislocazione assolutamente libero, fatta eccezione per alcune regole generali, qualsiasi incentivo utile a far emergere il nero e contenere i canoni risulterà inefficace. Bisognerebbe invece lasciare un unico regime stabilito attraverso accordi collettivi sulla determinazione dei canoni e in quest’ambito cercare sia un calmieramento che una maggiore aderenza alle regole e agli obblighi fiscali a cui la proprietà spesso si sottrae.
Cosa può dirci riguardo alla situazione nelle varie città italiane?
In realtà, dal punto di vista delle tendenze di fondo, tra due città come Roma e Milano non ci sono differenze importanti. L’unica vera differenza significativa è il dato di partenza delle piazze immobiliari del capoluogo di regione e di quella delle altre città, tra cui i prezzi di mercato possono variare anche del 30%. Contano anche molto i collegamenti dei trasporti, quindi per esempio in città dell’hinterland milanese collegate a dovere attraverso la rete metropolitana o ferroviaria i prezzi non risultano poi così diversi rispetto al capoluogo.
Di fronte a una situazione difficile come questa, che scenari futuri prevede?
Con una prospettiva così lunga della crisi, il futuro è certamente critico. Una recente indagine che abbiamo condotto ha mostrato che in tutta la Lombardia nel 2018 mancheranno circa 418 mila case popolari, senza poi contare la tendenza che potrebbe portare ad altri 10-12 anni di sostanziale stagnazione economica, una crisi di lavoro che penalizza redditi e capacità di spesa dei cittadini e una modificazione profonda di tutto il sistema del welfare che riduce ulteriormente il tenore e la capacità delle famiglie di procurarsi beni anche di prima necessità. Inoltre, in una prospettiva come questa, non c’è nemmeno un impegno di spesa pubblica di qualche significato dal punto di vista della risposta ai fabbisogni di persone svantaggiate.
Si spieghi meglio.
Solo per fare un esempio, in Lombardia quest’anno si distribuiranno contributi per l’affitto a 14 mila famiglie, rispetto alle 65 mila dell’anno scorso. Lo stanziamento da parte dello Stato, che l’anno scorso era pari a 23 milioni di euro per la Lombardia, quest’anno sarà di 1,6 milioni. Di conseguenza, anche sotto il profilo dell’assistenza abitativa, la situazione sta diventando critica a causa di una ormai totale assenza di risorse. Di fronte a dati del genere continuiamo però a mantenere una legge sui canoni che lascia al proprietario tutta la libertà nel poter determinare il canone che crede e una normativa che anche dal punto di vista della tutela della persona in caso di sfratto e condizioni di gravi difficoltà non offre ormai più niente. Questo è il quadro della situazione ed è quindi ovvio che la dimensione della spesa e gli obiettivi sociali a cui questa si rivolge tornino ad avere parametri che non sono certamente quelli attuali.
(Claudio Perlini)