Tanti sacrifici per nulla. L’austerity imposta da alcuni Paesi a tutti gli altri membri dell’Ue come mezzo per combattere la crisi potrebbe sortire miseri effetti. Una risoluzione del parlamento europeo ha invitato a ripartire tagli e nuove tasse in maniera equilibrata tra il livello di governo centrale e quelli periferici, in modo da «garantire un quadro delle finanze pubbliche solido e sostenibile, tenendo conto in particolare dell’impatto sull’autonomia di bilancio a livello locale e regionale del trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica monetaria». L’organismo comunitario ha, inoltre, espresso preoccupazione per il rischio che «l’impostazione dei rapporti tra i governi centrali e subnazionali possa nuocere all’attuazione del risanamento di bilancio», specialmente laddove il decentramento sia «finanziato principalmente mediante trasferimenti da parte del governo centrale, senza una corrispondente competenza a livello subnazionale in materia di entrate». Abbiamo chiesto a Piercamillo Falasca, fellow dell’Istituto Bruno Leoni, tra gli ideatori del sito di analisi Epistemes.org, come stanno le cose.
Rispetto alle indicazioni del Parlamento europeo come si è orientato il nostro Paese?
Credo che, in Italia, il livello che è andato maggiormente fuori controllo negli ultimi 10-12 anni sia quello regionale; assorbendo tutti i benefici finanziari derivanti dall’entrata dell’euro, in particolare quelli relativi alla riduzione dei tassi d’interesse, che avremmo potuto usare per abbattere il carico fiscale.
Questo da cosa è dipeso?
Dal regionalismo raffazzonato di cui l’Italia si è dotata dal 2001. Che ha influito, in particolare, sulla spesa sanitaria regionale ove, invece che un aumento della qualità delle prestazioni, si è prodotto il moltiplicarsi di corruzione e clientele.
Il discorso vale anche per le regioni virtuose?
Indubbiamente, in queste regioni, il livello delle prestazioni è aumentato. Tuttavia anche qui, in assoluto, la spesa si è incrementata. Tale spesa ha inciso maggiormente sui conti dello Stato laddove le Regioni hanno dissipato i soldi pubblici, producendo voragini finanziarie.
Eppure, risulta che anche la spesa centrale sia aumentata.
E’ aumenta quella per il personale e, anche se negli ultimi anni si è stabilito il blocco del turn over, si è rivelata difficile da tenere sotto controllo. E lo sarà fino a quando licenziare all’interno delle pubbliche amministrazioni sarà un tabù. A livello generale, tuttavia, la spesa centrale e quella comunale sono state tenute sotto controllo e, in alcuni casi, sono diminuite. Il problema, casomai, consiste nel fatto che la maggior parte delle correzioni di spesa sono state fatte purtroppo a detrimento di quella in conto capitale (per gli investimenti) e dei trasferimenti ai Comuni.
Come si è mosso il governo Monti sul fronte della riduzione della spesa?
Ha fatto quello che poteva, intervenendo in alcune voci che, effettivamente, dovevano essere riviste. A partire da quella previdenziale, decisamente squilibrata rispetto a quella prevista per altre funzioni sociali quali gli ammortizzatori.
Eppure, le risorse recuperate non sono state di certo usate per potenziare le garanzie sociali.
No, è stato necessario utilizzarle in larga misura per la correzione dei conti e per sanare i buchi di bilancio. Si è trattato di un’operazione, così come quella relativa ai tagli regionali, necessaria per evitare che i nostri conti esplodessero a causa della crisi finanziaria e dell’attacco sui debiti sovrani.
Non sarebbe stato meglio utilizzare un metodo diverso dei tagli lineari?
Tutto si sarebbe potuto fare meglio. Ma, in un anno di governo, supportato dalla “strana maggioranza”, e con l’Italia nel mirino degli osservatori nazionali, non si è potuto fare altro. Sta di fatto che gran parte dei risparmi di spesa auspicabili, inoltre, si potranno effettuare attraverso un miglioramento dei meccanismi di governance dell’apparato pubblico, e non semplicemente imponendo alle amministrazioni di spendere meno.
In che termini il federalismo sin qui adottato è stato artefice dell’attuale situazione?
Purtroppo, è stato introdotto non tanto un vero e proprio federalismo, quanto una sorta di regionalismo. Nel federalismo ciascun ente raccoglie da sé le risorse necessarie per le funzioni che eroga. In Italia, la maggiore parte delle imposte vengono raccolte a livello statale e, in seguito, ridistribuite. In tal senso, ad esempio, sarebbe altamente auspicabile lasciare interamente il gettito proveniente dall’Imu ai Comuni.
(Paolo Nessi)