L’arcivescovo di Milano Angelo Scola ha concesso una lunga intervista al Corriere della Sera: a tema naturalmente la città di Milano. Una città che deve diventare oggetto di una presenza: il cardinale lo dice nella nuova pastorale che si intitola “Il campo è il mondo”. Una città che pare oggi ingrigita e che ha bisogno di ripartire ma che ha, dice Scola, tante aree di eccellenza per farlo. Crisi economico-finanziaria e crisi della politica rendono tutto più difficile, spiega, ma bisogna misurarsi con il travaglio di un passaggio d’epoca storica: “Pensiamo allo sconvolgimento in atto nella dimensione degli affetti, al peso che si dà all’amore e, nello stesso tempo, alla confusione circa questo valore. Per non parlare delle grandi mutazioni prodotte dalle neuroscienze, dalle biotecnologie, dalla civiltà delle reti, da quello che io chiamo meticciato di civiltà dovuto all’immigrazione”. E a proposito di immigrazione, dice, bisogna riconoscere che siamo costretti a vivere insieme, è un dato di fatto, fra persone appartenenti a razze religioni diverse. Non basta parlare di valori, dice, bisogna fare esperienza di valori: “Una società civile è sana quando esalta e non mortifica i corpi intermedi, quando le libertà – di educazione, di intrapresa – sono effettivamente realizzate. Per me una società è autenticamente civile, per esempio, quando poggia sulla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, aperta alla vita. E se dico questo, non mi si può accusare di ingerenza. No. Si deve accettare che io metta questa proposta, sottolineo proposta, al servizio di tutti”. Per Scola, si legge ancora, un nuovo illuminismo potrebbe essere la strada di rilancio, ma solo se tutti insieme credenti e non credenti, uomini delle diverse religioni siamo d’accordo ad abbattere i muri. “L’ideale cristiano è nel Dna di Milano, ci chiama in causa: è un bene comune sul quale dobbiamo edificare. Da Milano possono partire decisivi segnali di cambiamento e l’Expo può essere un volano” dice.