Tenterò un esercizio difficile. Proverò a criticare il governo Renzi, alla luce dell’esperienza di amministratore locale: un esperimento raro di questi tempi, ma fondamentale. Certo non ci si trova in buona compagnia. Anzi, non si trova proprio nessuno che, oggi, osi dire qualcosa sull’uomo che guida un Pd che ha appena ottenuto il 40,81%. E poco importa se in termini assoluti gli 11.172.861 di voti delle ultime europee siano meno rispetto ai 12.095.305 di elettori che, alle politiche del 2008, optarono per i democratici di Veltroni.
“Renzi, al contrario di tutti gli altri, mi ha messo in busta paga 80 euro in più” si sente dire. È vero, ma la politica è proprio l’ambito dove discutere le scelte di merito. E qui ci si prova. Da maggio, per esempio, un coppia di lavoratori dipendenti ma priva di figli può spendere mensilmente 160 euro in più. Un’altra con figli ed uno dei due genitori autonomo con partita Iva solo la metà. O addirittura zero, se anche l’altro non rientra nelle categorie previste dalla norma. Eppure, visto il maggiore carico familiare, la seconda coppia avrebbe più bisogno di liquidità rispetto a quella composta dai due dipendenti. Quindi, la prima critica che muovo alla scelta dell’esecutivo è quella di aver ancora anacronisticamente letto le condizioni di disagio e bisogno solo in termini reddituali.
Seconda critica: se, come dice Renzi, la riduzione del cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente non è una misura una tantum ma verrà stabilizzata per il prossimo anno, il bonus mensile sarà di 53 euro. Non di 80. Ed è giusto dirlo, per non caricare di false speranze i beneficiari. Infatti nella legge approvata ad aprile il credito riconosciuto ammonta a 640 euro, che diventa di 80 euro mensili solo perché la misura è entrata a regime a partire dal mese di maggio. Tuttavia non è da escludere che si decida di aumentare il credito annuale con la prossima legge di stabilità. Scelta legittima, ma che ingigantirebbe il problema delle necessarie coperture finanziarie, per altro già esistente per l’anno in corso.
Effettivamente una misura straordinaria come quella del bonus di 80 euro prevede coperture straordinarie. Su queste le relazioni tecniche del Parlamento hanno chiesto al Governo «elementi di maggior dettaglio al fine di verificare la stima effettuata…, tenuto conto, fra l’altro della significatività del gettito atteso dalla disposizione in esame» (RT, Camera dei deputati, 9 giugno 2014, p. 29). In particolare la Relazione si riferisce alla scelta di raddoppiare il prelievo dal 12% al 26% sulle plusvalenze derivanti dalla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia possedute dagli azionisti (principalmente Unicredit e IntesaSanPaolo). Per quanto la misura in questo momento incontri molto gradimento popolare, non va dimenticato quanto ricordato di recente proprio dall’Associazione delle Banche italiane che, segnalando un gap di circa il 15% tra la tassazione applicata agli istituti di credito in Italia e quella nel resto d’Europa, evidenzia (o minaccia, questo lo giudichi il lettore) come tale «svantaggio competitivo» rischia di riflettersi «negativamente sulla capacità del settore bancario di finanziare l’economia reale (famiglie e imprese)» (Documento del 18 giugno 2014).
L’altra principale copertura per gli 80 euro viene individuata dall’esecutivo in un maggior gettito Iva (circa 650 milioni), dovuto al pagamento di 5 miliardi di debiti da parte della pubblica amministrazione ai propri fornitori. Tuttavia, anche qui, la Relazione tecnica della Camera ha messo nero su bianco che il maggior gettito previsto «potrebbe essere suscettibile di non immediato incasso nell’anno 2014» e che l’eventuale clausola di salvaguardia, pur prevista dalla legge sugli 80 euro al comma 11 dell’art. 50 e con cui si «stabilisce l’aumento delle accise» (cioè: più tasse per tutti!), «potrebbe non assicurare il raggiungimento dell’obiettivo di maggiori entrate, nella frazione di anno in corso anche in considerazione dei termini per il versamento delle imposte» (RT, p. 186).
E qui viene il bello per chi, come chi scrive, esercita la rappresentanza popolare all’interno di un Comune come quello di Milano.
Infatti nella parte della legge dedicata al concorso degli enti locali alla «riduzione della spesa per beni e servizi», l’art. 47 comma 8 stabilisce che i comuni «assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 375,6 milioni di euro per l’anno 2014 e a 563,4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017». In sostanza: nei prossimi 3 anni alle amministrazioni comunali verranno tagliati trasferimenti da parte dello Stato per più di 2 miliardi, che si aggiungono agli oltre 15 degli ultimi 7 anni. E sebbene la legge in questione rimandi i criteri con cui operare i tagli ad un successivo provvedimento del ministero dell’Economia (comma 9), pare che alla fine si procederà come sempre, ovvero linearmente, senza troppo distinguere virtuosi da spreconi.
Anche in questo caso la Relazione tecnica della Camera ha osservato «in primo luogo che andrebbero valutati i profili inerenti la sostenibilità per il comparto comunale del taglio addizionale dei trasferimenti previsto dalla norma e il rischio che tale riduzione possa incidere sulle risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali dei comuni» (RT, p. 174). Già, funzioni fondamentali. Perché per individuare i centri di spesa per beni e servizi, la legge con cui Renzi concede gli 80 euro di bonus porta con sé in allegato una tabella A con codici Siope (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), tra i quali: «contratti di servizio per trasporto» (S1302), «contratti di servizio per smaltimento rifiuti» (S1303), «Rette di ricovero in strutture per anziani/minori/handicap ed altri servizi connessi» (S1333), «Mense scolastiche» (S1334), «Servizi scolastici» (S1335).
Per quel che riguarda l’incidenza di questa scelta sul Comune di Milano, è notizia frasca di ieri, i calcoli prudenziali dell’assessore al Bilancio stimano tra i 15 e i 20 milioni di trasferimenti statali in meno. La conseguenza inevitabile sarà, specie nel caso delle amministrazioni di sinistra come quella di Pisapia, che a fronte di simili tagli si aumenteranno ulteriormente tasse e tariffe a danno dei cittadini pur di garantire quelle «funzioni fondamentali».
E l’esperienza a Palazzo Marino conferma la brutta previsione. A fronte di oltre 300 milioni di mancati trasferimenti da Roma, a partire dal 2010, la Giunta Pisapia ha più che raddoppiato le entrate tributarie: dai 631 milioni dell’ultimo bilancio firmato Moratti a 1 miliardo e 342 milioni del previsionale 2014. Così il secondo Rapporto annuale sulla fiscalità locale di Assolombarda ha registrato solo nel 2013 un aumento di tasse del 13% nel territorio compreso nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza. Il capoluogo lombardo è la prima città nella triste classifica che vede coinvolti 86 comuni dell’area, dove operano stabilmente quasi il 90% degli imprenditori associati. Qui, nel corso dell’ultimo anno, un capannone industriale tra Imu e Tares ha versato al Comune 58.516 euro di tasse. Questo trend mette a rischio la sopravvivenza stessa di un tessuto produttivo.
Vale la pena proseguire su questa china discendente per 80 euro? O forse non è il caso di concentrare gli sforzi per incentivare chi crea ricchezza e genera lavoro?