Il 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince fu coinvolto in uno dei più grandi disastri del mare che la storia abbia mai registrato. Un naufragio costato la vita a 140 persone, tra passeggeri ed equipaggio, che si trovavano a bordo dell’imbarcazione della Navarma dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo, della Snam, a circa 2,7 miglia dalla costa livornese.
Dall’inferno di fuoco che avvolse il Moby Prince dopo l’impatto, mentre percorreva la rotta verso Olbia, a salvarsi fu solo una persona, il mozzo Alessio Bertrand. Il caso torna in tv nel nuovo appuntamento con Linea di confine, il format in onda questa sera dalle 23:20 su Rai 2 sotto la conduzione di Antonino Monteleone.
Ad oggi sono ancora tanti i punti oscuri della vicenda e in studio ne parleranno Luchino Chessa, figlio del comandante del Moby Prince, Ugo Chessa, lo storico Andrea Romano e il giornalista Luciano Scalettari.
Moby Prince, 34 anni fa il disastro dopo la collisione con Agip Abruzzo: decenni di misteri e ipotesi
I misteri del disastro del Moby Prince vanno avanti da 34 anni. Secondo quanto ricostruito, la prua del traghetto avrebbe impattato con la petroliera e il greggio riversatosi sull’imbarcazione, complice un incendio forse innescato dall’attrito delle lamiere, l’avrebbe trasformata in una immensa torcia.
Molte le ipotesi che si rincorrono da decenni sulle cause del disastro, dalla presunta nebbia ad un eccesso di velocitò, passando per gli scenari di una presunta esplosione, di un guasto e, quest’ultima in testa ai lavori della nuova Commissione parlamentare d’inchiesta, dell’interferenza di una terza nave misteriosa che avrebbe portato allo scontro tra Moby Prince e Agip Abruzzo.
Nelle maglie della tragedia, il ritardo dei soccorsi che ancora oggi fa discutere: la collisione sarebbe avvenuta alle 22:25 e solo alle 23:35 il traghetto sarebbe stato individuato. I familiari delle vittime aspettano verità e giustizia da quella notte e finora, su quella che è stata ribattezzata “Ustica del mare“, non si è arrivati ad una conclusione certa, ad una ricostruzione che possa dirsi esaustiva.
I figli di Ugo Chessa, il comandante del traghetto morto insieme ad altre 139 persone, si sono sempre battuti per arrivare all’accertamento dei fatti e restituire al padre, uomo dalla carriera specchiata, la dignità e il rispetto che merita dopo le ombre gettate intorno a una presunta condotta imprudente.