MONUMENTO A GRAZIANI IMBRATTATO/ Ecco l’unico modo per riscattare un assassino

- Alberto Leoni

Ad Affile è stato imbrattato il mausoleo di Rodolfo Graziani. L'Anpi, a ragione, ha definito il monumento una vergogna. Non basta: qualcosa si può ancora fare

rodolfograziani fascismo 1 cinetecamilano1280 640x300 Rodolfo Graziani (1882-1955) (Foto Cineteca Milano)

Giunge la notizia che qualche buontempone ha lordato di vernice rossa il mausoleo dedicato al maresciallo Rodolfo Graziani sito nel suo paese natale ad Affile in provincia di Frosinone. L’Anpi nega che alcuno dei suoi militanti abbiano commesso il fatto ma definisce il monumento una vergogna. Il sindaco di Affile, Ercole Viri, respinge al mittente ogni accusa: “Graziani è un nostro concittadino pluridecorato, un eroe della Patria. Si sono impuntati perché hanno questa mentalità comunista. I comunisti sono così, devono abbattere il loro pregiudizio mentale”.

Orbene, più volte, su queste pagine, il sottoscritto ha avuto modo di esprimersi contro la “cancel culture” ormai dilagante negli Stati Uniti e il suicidio culturale propugnato dal movimento “Black live Matters”. I monumenti vanno lasciati stare dove sono senza imbrattarli o demolirli perché sono storia e vanno giudicati come tali. Tuttavia c’è sempre un’eccezione che conferma la regola e questa è proprio il monumento al maresciallo Rodolfo Graziani, forse la più funesta e sciagurata figura di soldato che abbia partorito il sistema militare italiano postunitario.

In sintesi la storia di questo “eroe della patria”. Ineccepibile la sua partecipazione a 36 anni alla Grande guerra con due medaglie di bronzo arrivando al grado di colonnello. Nel 1931 viene inviato in Libia come vice governatore della Cirenaica da cui il famoso verso di Franco Battiato “Lo sai che quell’idiota di Graziani farà una brutta fine” (Lettera al governatore della Libia). Ma Graziani, al contrario, ebbe un notevole successo, in cooperazione con un altro generale alleato e rivale, Pietro Badoglio. La Cirenaica fu “pacificata” deportando metà della popolazione, con decine di migliaia di morti tra i civili. E nella successiva conquista dell’Etiopia nel 1936, ancora in cooperazione con il rivale Badoglio, Graziani non ebbe scrupoli ad usare i gas vescicanti proibiti da ogni convenzione internazionale. Va detto, peraltro, che Graziani non fu il solo ad usare questi metodi criminali, più che brutali, né in Italia né all’estero. Nessuna potenza coloniale è esente da crimini, ma questo non assolve chi li compì.

Il top della performance criminale di Graziani avvenne dopo l’attentato dinamitardo del 19 febbraio 1937 in cui rimase gravemente ferito e ancor più gravemente scosso nella psiche. Da allora Graziani temette per la propria vita in modo maniacale, reagendo nei confronti della popolazione abissina con una ferocia eguagliata solo dal nazicomunismo. Se, infatti, i tedeschi hanno sulla coscienza i campi di sterminio e stragi di civili in tutta Europa e il comunismo sovietico ha i gulag e le fosse di Katyn dove furono macellati migliaia di ufficiali polacchi, noi “italiani brava gente” abbiamo il pogrom di Addis Abeba, compiuto come rappresaglia all’attentato e la strage del monastero di Debra Libanos. Sulla base di accuse inconsistenti l’eroico maresciallo ordinò al generale Pietro Maletti  di sterminare tutti i religiosi cristiani copti ivi catturati: monaci, seminaristi, suore e, per ultimi, 126 giovani diaconi risparmiati in un primo tempo, per un totale che ultime ricerche portano a quasi 2mila assassinati.

Tuttavia si dovrà ammettere che diversi generali nazisti, moralmente spregevoli per i crimini da loro autorizzati, sapevano fare la guerra in modo magistrale. Non così il nostro eroe, principale, anche se non unico, responsabile della catastrofe libica tra il 9 dicembre 1940 e il febbraio 1941, quando la X armata italiana fu completamente annientata dagli inglesi, molto minori di numero ma molto meglio organizzati e mobili. Risultato: 130mila prigionieri, il prestigio militare italiano distrutto (insieme al disastro della guerra di Grecia) e subordinazione alla Germania nazista mentre Graziani, rinchiuso in un bunker a centinaia di chilometri dai propri soldati, deragliava mentalmente e veniva sollevato dal comando da un Mussolini incredulo.

Dopo di allora il nostro viene messo da parte ma prontamente riesumato dal sepolcro morale in cui è stato cacciato dopo l’8 settembre. Ed è qui che Graziani continua a far danni in un modo addirittura divertente: tragico, ma divertente. Il 13 ottobre Graziani volava a Rastenburg per concordare con i tedeschi i dettagli del progetto di costituzione dell’esercito della Repubblica Sociale. Graziani non si peritò di farsi tradurre per bene cosa volessero i tedeschi e accettò quel che non doveva accettare, in particolar modo il bando di coscrizione obbligatoria. Il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, generale Canevari, firmò i protocolli senza nemmeno guardarli, convinto che l’avesse già fatto Graziani e altrettanto fece Mussolini. Il lettore si immagini la faccia del Duce quando l’ambasciatore tedesco Rahn, il 4 novembre, chiese del bando di coscrizione. Mussolini cadde dalle nuvole e la vergogna provata fu inferiore solo alla constatazione di dover fare proprio ciò che, giustamente, riteneva più dannoso: una chiamata alle armi che avrebbe compromesso ciò che restava del fragile consenso ancora esistente.

Ma Graziani aveva la capacità di cadere sempre in piedi. Anche dopo la fine della guerra stette in galera per quattro mesi appena e la nuova Italia riuscì ad evitare una Norimberga italiana. Paradossalmente se tanti generali e gerarchi fascisti non sono stati processati lo si deve al ruolo di alleato che la Resistenza seppe ottenere: sono i paradossi della storia che i fascisti di ieri e di oggi tendono a dimenticare.

Va precisato che la lotta alla “cancel culture” va affrontata come una lotta a un nuovo fascismo e che quindi la destra, se proprio volesse trovare degli eroi da ricordare, dovrebbe andare al generale Enrico Francisci, pluridecorato di cinque guerre, morto da prode in Sicilia nel 1943 combattendo contro gli americani, o al generale delle camicie nere Alberto Liuzzi, caduto a Guadalajara nel 1937. Ma chissà se i fascisti di oggi ricordano che Liuzzi era ebreo e che, se fosse sopravvissuto alla guerra di Spagna, sarebbe finito ad Auschwitz.

In conclusione i monumenti non si imbrattano perché poi bisogna ripulirli; e anche abbatterli ha un costo senza nessun beneficio. Che resti dov’è il monumento a quel sacripante di Graziani, ma con qualche aggiunta: quella di duemila sagome in metallo di monaci abissini, ondeggianti al vento come spiriti che veglino sul loro assassino. Così, forse, l’Italia pagherà un modesto prezzo morale per i crimini commessi. 

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