Le testimonianze in aula durante il processo per la morte di Sofia Stefani, vigilessa uccisa in circostanze poco chiare: ecco cosa è emerso
Con l’avvio dell’indagine a seguito della morte della vigilessa di Sala Bolognese Sofia Stefani, stanno emergendo dei dettagli per certi versi inquietanti. Ne parla il Corriere della Sera, sottolineando le testimonianze rese in aula da parte dei colleghi ma anche della comandante dei vigili, che sottolineano un clima di forte tensione nei confronti della vittima, che “veniva tormentata in tutti i modi”, in quanto la stessa “aveva suscitato molte gelosie”. A parlare sono l’agente Patrizia Buzzoni, ma anche Silvia Fiorini, comandante della polizia municipale di Sala Bolognese e Anzola dell’Emilia. Ricordiamo che l’imputato è uno solo, il commissario capo Giampiero Gualandi, accusato di omicidio aggravato della vigilessa di cui sopra, con cui aveva anche una relazione.
Fra le testimonianze principali rese in aula dalla Fiorini anche il fatto che nessuno in ufficio era solito maneggiare l’arma per pulirla, dichiarazioni che se confermate smonterebbero la tesi del colpo partito accidentalmente dalla pistola e che avrebbe ucciso appunto la povera Sofia Stefani. “Non si poteva portare l’arma in ufficio”, spiega lei, aggiungendo di non aver mai visto Gualandi “maneggiare o pulire la pistola in ufficio, nessuno lo faceva”.
MORTE SOFIA STEFANI, COSA RACCONTANO COLLEGHI E SUPERIORI
Ci sono anche le parole di Giuseppe Ardizzone, un altro agente, che invece racconta di aver visto Gualandi, pochi giorni prima del 16 maggio (giorno dell’omicidio), con la pistola in mano: “Sono rimasto sorpreso”, spiega, ma ammette di non essersi spaventato in quanto gli è sembrata “una cosa normale”. Stesse parole quelle rilasciate da un collega in pensione, Maurizio Doboletta, che ha appunto spiegato di aver visto Gualandi in ufficio con la pistola d’ordinanza.
Il focus, come detto sopra, è anche sul clima che si respirava in quell’ufficio, con Doboletta che ha raccontato di come la Stefani avesse avuto una relazione con un altro collega nel 2020, e che questi gli raccontò che la vigilessa gli tirava i calci e lo graffiava in quanto vittima di sbalzi di umore. La comandante Fiorini aggiunge di lamentele pressochè costanti nei confronti della vittima, con i colleghi che le chiedevano di non essere messi in turno con lei in quanto la stessa “interagiva fuori contesto con i cittadini”, non rispettando poi il rapporto gerarchico. A volte chiamava Gualandi per comprendere se “il capo pattuglia agiva in maniera corretta”. Significativo anche il passaggio in cui racconta di aver visto la vigilessa chiusa in ufficio con il capo anche “dopo il licenziamento”.
MORTE SOFIA STEFANI, L’AMICA: “PIANGEVA SPESSO…”
Vennero anche trovati dei capelli neri nel bagno degli uomini, e il sospetto dei colleghi, fra il serio e l’ironico, era che appartenessero proprio alla vigilessa poi assassinata. “Da subito ha avuto atteggiamenti” poco consoni con il suo ruolo spiega ancora Silvia Fiorini.
Diversa è però la descrizione che ne fa la collega Buzzoni, che parla di una donna disperata “l’ho vista piangere” ma che non ha mai aggredito nessuno. Con Gualandi “c’era una dipendenza psicologica”, aggiungendo di non comprendere come mai i colleghi la tormentassero così tanto: “cercava solo la sua strada”. Due giorni prima della morte l’ultima telefonata disperata: “non riusciva a smettere di piangere”, la moglie di Gualandi l’aveva chiamata per dirle di lasciar stare il marito.