In un clima di cauta speranza, il Ministro degli Esteri iraniano Araghchi ha incontrato oggi a Mosca il collega russo Sergej Lavrov, preparando il terreno per il secondo round di negoziati indiretti con Washington sul programma nucleare, in programma a Roma il 19 aprile.
“Un accordo è possibile, ma gli Stati Uniti devono abbandonare richieste illogiche”, ha dichiarato Araghchi, rimarcando come Teheran abbia percepito “serietà” durante i primi colloqui in Oman, ma mantenendo scetticismo sulle reali intenzioni americane.
La Russia – intanto – si conferma mediatore chiave: Lavrov ha ribadito il sostegno a un’intesa che rispetti gli interessi iraniani sotto il Trattato di non proliferazione, auspicando un dialogo “equilibrato”.
Nonostante le riserve, Araghchi ha garantito la partecipazione iraniana ai colloqui di Roma: “Parteciperemo con massima volontà, ma domani vedremo la posizione concreta degli USA”, un cauto segnale di apertura strategica, temperato però dalla diffidenza verso la politica di “massima pressione” di Washington, che include sanzioni economiche e isolamento diplomatico.
L’incontro di Mosca ha anche rafforzzato l’asse Teheran-Mosca, con Lavrov che ha definito le relazioni bilaterali “speciali e in crescita”, sebbene le pressioni occidentali; un fronte unito che prova a scalfire l’egemonia USA nel Medio Oriente, mentre il nodo nucleare resta irrisolto.
Araghchi e le ombre su Gaza: “Il silenzio dell’Occidente è complicità”
Oltre al nucleare, Araghchi ha portato a Mosca le ferite aperte del conflitto mediorientale e – condannando “i crimini di Israele a Gaza” e “l’aggressione USA nello Yemen” – ha accusato l’Occidente di complicità passiva: “Lo sfollamento forzato dei palestinesi è inaccettabile, così come la guerra nello Yemen deve finire”.
Dichiarazioni che riflettono la strategia iraniana di legittimarsi come paladino delle cause arabe, contrapponendosi a Stati Uniti e alleati mentre il ministro ha escluso colloqui diretti con Washington, ribadendo che qualsiasi trattativa dovrà rimanere indiretta e mediata da potenze terze, come la Russia o l’Oman.
Una scelta che preserva la posizione negoziale di Teheran, evitando concessioni simboliche agli avversari, volendo rimarcare come la fiducia non si costruisca con le parole e ricordando il ritiro unilaterale degli USA dall’accordo del 2015.
Ora, con il nuovo round a Roma, questo quadro dai contorni torbidi inizia a delinearsi: o Washington ammorbidisce le richieste, o il dialogo rischia di naufragare, lasciando il programma nucleare iraniano in un limbo pericoloso.